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sabato 28 luglio 2007

Bersani: idee per un partito nuovo

Nel nostro percorso verso il partito democratico si deve aprire un confronto di idee fino a qui un po’ trascurato in nome di altre esigenze. Sostengo la candidatura di Walter Veltroni con convinzione e con le mie convinzioni; ho inteso esprimerne alcune sperando che siano di qualche utilità per la discussione che dovremo fare sul profilo del partito nuovo e sul messaggio fondamentale che dovrà rivolgere al Paese.
Il solco profondo che si è aperto fra politica e società è certamente figlio di un sistema politico istituzionale irrisolto ed eternamente in transizione. Tuttavia quel solco va letto anche dal lato della società. La società non esprime solo spinte positive e dinamiche, che pure ci sono. Chi è investito dalla competizione globale, direttamente o indirettamente, ha i nervi tesi; chi pensa di potersene mettere al riparo si chiude in casematte difensive corporative, localistiche o relazionali. Alla lunga, casematte di carta.
Emergono dunque forme di dissociazione e di “anarchismo” nel profondo della società; come se
la globalizzazione fosse il pettine a cui giungono i nodi antichi del particolarismo italiano. La destra, nei suoi necessari tratti populistici, propone un modello di leadership che dice ad ogni italiano: fai quello che vuoi. La leadership che noi dobbiamo esprimere è alternativa e non può che partire da un richiamo forte alla cittadinanza comune e ad una nuova stagione di civismo.
I soggetti più dinamici, le coscienze più mature, le sensibilità più fresche e giovani del nostro Paese riconoscono infatti che se la politica è colpevole, non per questo tutta la società è innocente.
Un messaggio così forte e diretto può essere dato credibilmente solo da un soggetto politico che soffra in modo visibile di uno sforzo di rinnovamento, che dimostri di mettersi veramente in gioco, che abbia un linguaggio inedito per verità, precisione e concretezza. Il linguaggio tuttavia non è un ornamento ma è la natura stessa di un partito. Infatti solo un partito in cui le leadership si selezionano su basi politiche e programmatiche leggibili, può pronunciare parole
chiare al Paese e illuminare l’azione di governo. L’alternativa sarebbe quella di imitare malamente “da sinistra” le venature populiste, comunque inarrivabili, della destra.
Un partito con un nuovo linguaggio è dunque un partito delle riforme; riforme ispirate da una visione del Paese e dalla capacità di ricavare dai propri valori di riferimento un avanzamento generale della società.
Quali valori di riferimento? Quelli propri di una nuova e grande sinistra democratica e popolare.
La parola sinistra non deve essere lasciata incustodita, deve invece essere riempita di cose nuove.
L’idea dell’uguale libertà e dignità di tutti
gli esseri umani, che è fondamento ineliminabile della stessa nozione di sinistra, può essere una spinta formidabile per l’avanzamento dell’intera nostra società.
Se questo non ci appare più tanto
chiaro è perché abbiamo legato quella grande idea a simulacri di antiche conquiste che oggi non sempre incidono sulla realtà. Possiamo accettare che l’Italia sia, fra i grandi paesi dell’occidente, quello con il grado minore di mobilità sociale e con la disparità maggiore fra i redditi? Mobilità sociale e coesione non devono
più sembrarci un ossimoro. Mobilità sociale, società aperta e coesione sono un progetto che dobbiamo raffigurare nella coraggiosa concretezza di un programma.
Rinnovare i valori di una sinistra democratica e popolare significa tornare a coltivare nelle condizioni nuove i suoi grandi e storici campi d’azione: il lavoro e la democrazia. Dobbiamo dunque costruire un partito del lavoro e della cittadinanza. Se nessuno nel nuovo secolo accetterà di definirsi solo “lavoratore” è in ragione delle conquiste del vecchio secolo. Tuttavia il lavoro resterà per noi il primo diritto di cittadinanza. Due pilastri hanno consentito che il lavoro non fosse una merce qualsiasi: il diritto e l’autorganizzazione. Bisogna rinnovarli entrambi.
Fare argine all’enorme pressione che viene sul lavoro dal processo di globalizzazione non significa impedirsi di guardare avanti, all’emergere di percorsi qualitativi e partecipativi indotti dalla necessaria condivisione delle conoscenze; all’articolazione dei lavori che rischia di diventare atomizzazione senza forme nuove di rappresentanza; al determinarsi di zone d’ombra inedite e di terre di nessuno, al nuovo significato del lavoro autonomo e imprenditoriale e ai valori che esprime. Anche il tema della democrazia è un campo privilegiato di combattimento e di riforme per il partito nuovo. La democrazia è un metodo per decidere attraverso la partecipazione e non per partecipare a prescindere dalla decisione. Diversamente la democrazia perde legittimazione. Riforme nei “rami alti” dunque (istituzioni, legge elettorale) ma
anche tempi certi e clausole di chiusura della decisione in ogni procedimento pubblico, garantendo comunque la partecipazione. La partecipazione dovrà qualificarsi e rafforzarsi sui temi eticamente sensibili. Con l’avanzare della
scienza, più le decisioni pubbliche saranno delicate, più saranno transitorie e fallibili. In questa materia non serve un partito che giuri sulle singole soluzioni ma un partito che proponga nuove forme di discussione pubblica e di concorso alla decisione, e cioè nuove procedure. Tutt’altro campo è quello dei diritti civili di cui un partito nuovo deve farsi promotore secondo quei rigorosi principi di laicità dello stato sui quali la cultura cattolico-democratica si è particolarmente e spesso dolorosamente sperimentata. L’efficacia del principio democratico si esercita oggi altresì nella rigorosa tutela dei diritti del cittadino-consumatore-utente, che non è suddito né della pubblica amministrazione né dei soggetti di mercato e che deve trovare nelle politiche pubbliche riferimenti concreti ed esigibili. Infine, ma non per ultimo, si dovrà far crescere nel senso comune la coscienza di una radicale novità. Con la globalizzazione la democrazia, nella dimensione nazionale e locale e particolarmente in campo economico, si organizza pericolosamente su sovranità parziali e spesso fittizie. Di fronte a molti problemi si disarticola ormai il rapporto fra centri decisionali effettivi e meccanismi istituzionali e di partecipazione; così la politica, perdendo via via funzione, è esposta a scorciatoie demagogiche. Tutto questo va affrontato con una nuova razionalità; non proteggendosi dalle “sovranità” esterne ma proponendosi una doppia sfida; società aperta e progressivo controllo democratico degli effetti della globalizzazione. Una vera integrazione europea è il primo e ineludibile banco di prova di questa sfida.
Coesione e mobilità sociale saranno i cardini del progetto. La coesione si sorregge su alcuni pilastri. L’impianto universalistico delle fondamentali politiche sociali (di fronte a bisogni essenziali nel campo della legalità e della
sicurezza, della salute, dell’istruzione non ci può essere né povero né ricco). Ciò pretende polso fermo nel garantire sostenibilità economica, buona organizzazione, flessibilità, sussidiarietà nei principali istituti di welfare. Un nuovo patto
fiscale. Ciò significa, assieme alla riqualificazione della spesa pubblica e alla riduzione del debito, ricondurre l’evasione fiscale a livello europeo attraverso meccanismi che riversino stabilmente una parte dei risultati della lotta all’evasione a
sollievo dei contribuenti onesti e più esposti, garantendo stabilità delle procedureamministrative. Una nuova cultura dell’unità del Paese. Gli italiani del sud soffrono particolarmente della privazione di diritti di cittadinanza in termini di legalità e di prestazioni di servizi essenziali. Le risorse e gli sforzi devono concentrarsi lì, perché è lì il blocco fondamentale della vitalità economica. Gli italiani del nord soffrono particolarmente del distacco fra dinamismo economico-sociale e sclerosi dello Stato. Non si tratta tanto di superare “ritardi” fra sud e nord ma di ritrovarsi tutti in un’Italia cambiata. La modernizzazione del Paese è la prima politica meridionalista. Senza muovere le risorse potenziali del mezzogiorno il Paese non cresce. Tutto questo non può avvenire se le energie del nord non possono esprimersi
pienamente e si sentono estraniate da una dimensione e da una “missione” nazionali. Un federalismo fiscale equilibrato darà un contributo di coesione. Il rischio di dissociazione del sistema viene infatti dalla disarticolazione fra competenze e responsabilità e dall’assenza della dimensione regionale e locale nell’attuale assetto bicamerale del Parlamento. L’obiettivo di maggiore mobilità sociale genera un vasto programma di riforme nelle più diverse direzioni. Nella concretezza di queste riforme, agli occhi delle nuove generazioni la destra populista e corporativa dovrà restituirci la parola libertà. Non c’è settore dell’economia e della finanza, dell’organizzazione sociale, delle professioni e dei mestieri, della scienza e dell’università che non sia segnato in una qualche misura da meccanismi relazionali, corporativi o monopolistici. Questi meccanismi vanno nominati ad uno ad uno e smantellati o corretti radicalmente con l’iniziativa legislativa e, laddove possibile e necessario, con l’iniziativa popolare e referendaria. Maggior dinamismo, dunque, nei percorsi di vita, di lavoro, di attività economica e sociale: se si cambia un po’ tutti, tutti possiamo stare meglio; se stiamo con chi bussa alla porta e non con chi la tiene chiusa possiamo darci un futuro. La dignità del cittadino
e il civismo che si esprime nel lavorare e nel produrre deve ottenere un riconoscimento vero dalla pubblica amministrazione. L’attività di impresa deve potersi svolgere dentro regole razionali e amichevoli perché intraprendere nelle regole è di per sé espressione di civismo.
La destra ha interesse ad una cattiva reputazione della pubblica amministrazione. Noi non possiamo dare credibilità alle nostre politiche senza una buona reputazione della pubblica amministrazione e senza valorizzarne la funzione di servizio. La riforma della pubblica amministrazione sempre evocata deve prendere la concretezza di progetti di riorganizzazione ad ogni livello, spostando risorse da vecchie a nuove funzioni, utilizzando tecnologie e riducendo il
peso di vincoli normativi.
Non è tempo oggi di formulare programmi. Basterà ricordare che il messaggio programmatico di un partito nuovo dovrà
riconoscere una esigenza di chiarezza e un vincolo di razionalità. Per esempio, se si vuole crescita economica e welfare sostenibile con la nostra demografia non si può prescindere dall’immigrazione, che va meglio regolata
secondo principi di accoglienza e di legalità; se si vuole avere nel futuro un sistema pensionistico non si può, al netto di lavori particolari, evitare il collegamento fra aspettative di vita ed età lavorativa; se si vuole mettere al centro delle politiche la questione ambientale bisogna riconoscere che il miglioramento dei bilanci ambientali comporta più cose da fare che cose da impedire; se si vuole mobilitare le energie femminili non si può prescindere da azioni positive concrete, a cominciare dalle quote. Il profilo programmatico del partito nuovo si rivolge con nettezza al Paese e non incorpora le
alleanze. Le alleanze ci vogliono, ma un partito è a vocazione maggioritaria non se e quando diventa maggioritario ma se e quando si mostra disposto ad attraversare il deserto in nome delle sue fondamentali idee.
I compiti essenziali del partito nuovo sono la ricomposizione del rapporto fra politica e società e l’affermazione di un progetto unificante di cambiamento. Bisogna dunque immaginarne non la leggerezza ma il radicamento. Creare un
canale di scorrimento fra politica e società significa fare un partito politico e della società civile.
Un partito aperto e ricco di forme inedite di
partecipazione ma di una partecipazione che sia essa stessa formazione alla politica. Un partito federale a base regionale, che trovi in ogni dimensione locale i suoi fondamentali luoghi di
vita e di selezione delle leadership. I meccanismi utili per la fase costituente non possono rappresentare la fisiologia del nuovo partito.
L’avvio della fase successiva all’assemblea costituente, quella cioè della vera e propria costruzione del partito, ci aiuterà a superare caratteri di verticismo, di composizione fra gruppi dirigenti, di carenza di confronto fra piattaforme politiche e programmatiche che abbiamo inevitabilmente sofferto fin qui. Le urgenze della situazione politica possono da un lato ridurre i percorsi di costruzione del partito e dall’altro rubargli l’orizzonte. Non possiamo permettercelo, semplicemente perché un partito nuovo non lo si può fare ogni anno e un partito del secolo non può nascere con una impronta troppo segnata dalle esigenze del momento né con una conformazione improvvisata o casuale. Nei prossimi mesi saremo in grado di fare entrambe le cose: affrontare la situazione politica sostenendo l’azione di governo e, allo stesso tempo, lavorare in profondità e con generosità alla costruzione del partito democratico senza schiacciarlo sul presente ma regalandolo al futuro.
Pierluigi Bersani

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