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mercoledì 31 ottobre 2007

Finocchiaro: i gruppi parlamentare si chiameranno PD-L'Ulivo

- Roma, 31 ott - I gruppi parlamentari dell'Ulivo cambiano nome e d’ora in poi si chiameranno gruppi del Partito democratico-L'Ulivo. Lo ha annunciato ieri sera la presidente dei senatori Anna Finocchiaro introducendo l'assemblea in cui sono intervenuti il premier Romano Prodi e il segretario del Pd Walter Veltroni. Finocchiaro ha detto che la decisione è già stata presa e che ora mancano ''i passaggi procedurali che riguardano statuti e regolamenti''.

da www.partitodemocratico.it

PD radicato in tutto il territorio entro fine 2007

- Roma, 31 ott - Walter Veltroni e Dario Franceschini accelerano sulla costruzione del Partito Democratico e sul suo radicamento a livello territoriale. Entro la fine di dicembre, infatti, saranno scelti e nominati sia i coordinatori provinciali che quelli territoriali, ossia comunali. E' quanto è stato deciso nel corso della riunione tra il segretario del Pd, Veltroni, il vice Franceschini e tutti i segretari regionali del partito, durata circa tre ore. "Abbiamo lavorato - spiega all’Agi Franceschini al termine della riunione - sulla traccia delle decisioni assunte all'assemblea costituente, per accelerare ancora di più il processo di nascita del Pd sul territorio. L'obiettivo è di dedicare il mese di novembre alla nomina dei coordinatori provinciali provvisori, e dedicare tutto il mese di dicembre alla nascita e alla scelta degli organi territoriali in tutti i livelli istituzionali del Paese". Ciò avverrà "attraverso il coinvolgimento del popolo delle primarie - spiega ancora Franceschini - quindi con la massima partecipazione". La nomina dei coordinatori provinciali, eletti dall'assemblea costituente, si avrà il 24 novembre, ma prima, il 10, "si insediano tutte le costituenti regionali, subito dopo partirà il percorso di insediamento". Franceschini replica quindi ad alcune polemiche sull'accelerazione impressa al percorso: "Il punto su cui ci sono state interpretazioni differenziate, che francamente non mi spiego, è sui coordinatori provinciali. Ma è chiaro che questi si fanno in fretta perché bisogna superare il fatto che a livello provinciale ci sono ancora segretari dei Ds e della Margherita". Subito dopo, conclude Franceschini, "si fa un percorso a livello territoriale che coinvolga tutto il popolo delle primarie. Infine, quanto alla possibilità che Veltroni decida, come inizialmente sembrava orientato a fare, di nominare un coordinatore della conferenza dei segretari regionali, Franceschini spiega: "Stiamo lavorando collegialmente molto bene. Costruiremo tutto insieme".
da www.partitodemocratico.it

martedì 30 ottobre 2007

PD, FRANCESCHINI: DEMOCRAZIA A OGNI LIVELLO, ALTRO CHE PRIMARIE TRADITE

da www.partitodmocratico.it
- Roma, 30 ott – “Le decisioni sono state votate a stragrande maggioranza dall’assemblea costituente. L’obiettivo è stato quello di imprimere una forte accelerazione al nostro cammino, ma in linea con il metodo che ci siamo dati, le primarie appunto”. In un’intervista a Repubblica, Dario Franceschini respinge le critiche sulle procedure e i contenuti delle decisioni prese sabato a Milano. A Rosy Bindi il vicesegretario del Pd dice che non è vero che per l’elezione dei segretari provinciali sia stato abbandonato il metodo delle primarie: “Non è così, basta rileggere il dispositivo approvato. Il 23 novembre spariscono i segretari provinciali di Ds e Margherita, nascono i coordinatori provinciali del Pd, e saranno scelti dai delegati già eletti nelle primarie. Entro lo stesso mese nascono inoltre i gruppi unici consiliari. Poi, prima di Natale, gli elettori delle primarie saranno chiamati a scegliere gli organi territoriali del nuovo partito”. Franceschini aggiunge che “anche per i coordinatori provinciali potranno essere chiamati a esprimersi gli elettori delle primarie, lo decideranno le varie regioni insieme al segretario nazionale. Un meccanismo di forte partecipazione, altro che primarie tradite. Non capisco perciò le polemiche, anche se in fondo non mi stupisco. La notizia sarebbe che Parisi per una volta accetta una decisione, approvata quasi all’unanimità, senza minacciare di sbattere la porta”.

Approvato dal Governo il "pacchetto sicurezza"

da www.micheleemiliano.it
Finalmente il Governo ha approvato il Pacchetto Sicurezza, un atto concreto a tutela dei cittadini che permetterà di dare una risposta convincente all’enorme domanda di sicurezza nelle nostre città. Compie così un decisivo passo in avanti il lungo lavoro che ho incominciato sette mesi fa insieme agli altri sindaci delle città metropolitane e al Ministero dell’Interno. Estendere i poteri ai sindaci non significa trasformarci in “sceriffi” ma solo consentirci di intervenire in modo più rapido ed efficace, di concordare con i prefetti nuove azioni di prevenzione e repressione, di emanare ordinanze urgenti in materia di sicurezza e decoro urbano. Adesso siamo in attesa del via libera del Parlamento. Spero che i deputati dei nostri territori, senza distinzione tra maggioranza e opposizione, si rendano conto dell’importanza di approvare con rapidità tutte le modifiche legislative contenute nel Pacchetto Sicurezza. Il Parlamento dimostrerà così di essere vicino alle persone su uno dei temi più sentiti, e di essere in grado di dare risposte certe e incisive a tutela della collettività.
Michele Emiliano

Qui puoi vedere il video di Emiliano sull'argomento

lunedì 29 ottobre 2007

Risultati definitivi nazionali Primarie


Dopo le acquisizioni dei dati mancanti della Campania abbiamo finalmente i risultati totali nazionali definitivi:

Adinolfi: ................ 5.906 .................. 0,17%
Bindi: ................. 453.067 .................. 12,88%
Gawronsky: .......... 2.376 .................. 0,07%
Letta: .................. 389.271 .................. 11,07%
Veltroni: ........ 2.666.750 .................. 75,81%

Il discorso di Michele Emiliano a Milano

C’era il sole a Bari il 14 ottobre. Una signora in fila, aspettando il suo turno per votare, mi ha detto: sindaco, mi raccomando, se no a votare non ci vado più, questa è l’ultima occasione.
Non sono mai stato in un partito e mi ha fatto un certo effetto pensare che la mia prima occasione coincidesse con l’ultima. Ma la signora aveva ragione.
È la mia ultima occasione. È la nostra ultima occasione. Ma una di quelle che mette i brividi, una di quelle che non capitano più. Tre milioni e mezzo di persone si sono messe in coda ai seggi, per darsi e darci una chance, per lanciarci quel bellissimo ultimatum. Tornate alla politica, quella vera. Non avete più alibi, nessuno è più disposto a perdonarvi nulla.
Milioni di persone per la prima volta nella storia hanno fondato un partito con un gesto che rappresenta l’essenza di ogni democrazia.
In questo modo hanno cambiato per sempre la politica ed assieme la loro personale prospettiva. Siamo andati a votare restando noi stessi, perché nessuno ci ha chiesto di aderire ad una ideologia e nemmeno ci ha chiesto conversioni. Abbiamo votato pensando ad un partito che sia luogo della nostra formazione e garanzia della nostra libertà.
L’otre nuovo contiene davvero il vino nuovo.
Lo stiamo immaginando al servizio delle persone, capace di orientarle ma anche più semplicemente di aiutarle. Così vogliamo costruire legami destinati a durare, a non esaurirsi nel breve volgere di una campagna elettorale. Il partito nasce per strada e non dagli studi televisivi, entrando davvero nelle case e ricostruendo la rete delle nostre relazioni.
E non può essere un caso che a guidarci in questo meraviglioso cammino sia oggi un sindaco come Walter, capace di partire e ripartire continuamente, sempre e solo dalle persone.
Parlare semplicemente e stare ad ascoltare, senza interrompere. Le nostre lingue saranno diverse e per capirci occorrerà molta pazienza. Anche un semplice sorriso sarà importante. Verrebbe da scrivere nello statuto: “sorridete a tutti, persino ai compagni di partito”.
Perché un partito di programma ha bisogno di dialogo e ascolto reciproco, altrimenti non sopravvive. Non sopravvive allo scambio, al do ut des, alla logica del “che c’è per me”.
Nasce il partito democratico, credendo sino in fondo alla costituzione repubblicana.
La vera differenza tra noi e la destra sta nel fatto che noi vogliamo rendere effettiva la carta costituzionale, crediamo davvero nel principio di uguaglianza, nel diritto alla salute e all’istruzione per tutti, in una fiscalità equa e progressiva, nell’indipendenza e nell’autonomia della magistratura, nell’Unità di Italia e nella parità di genere. Crediamo anche al principio costituzionale della efficienza ed economicità della pubblica amministrazione. E quindi della politica.
Di felicità nel fare politica abbiamo bisogno tutti. Ma soprattutto ne abbiamo bisogno noi meridionali.
Ed è forse per questo che nel Sud abbiamo votato in tantissimi, addirittura in Puglia ottenendo seggi premiali in trentatre dei trentaquattro collegi, il maggior incremento di voto rispetto alle precedenti primarie. Abbiamo aderito in massa al Partito Democratico forse perché consapevoli degli errori del passato. Luigi Sturzo diceva: “siamo abituati a domandare al governo, più che allo stato ogni aiuto, ogni intervento…sembra che si attenda un ausilio esterno, lontano, invocato, invece di creare noi il programma politico della questione meridionale, tale da divenire nostra convinzione, nostra formula, nostra forza, e farlo divenire, con la efficacia delle minoranze convinte, pensiero generale degli italiani”.
Noi pugliesi oggi fermamente pensiamo di avere iniziato da qualche anno a questa parte a mettere in pratica questi insegnamenti. Già prima del processo costituente del PD il bisogno di legalità e di identificazione in un nuovo gruppo dirigente erano state la cifra della nostra storia.
Dobbiamo ora proseguire il lavoro iniziato, chiedendoci che cosa possiamo fare noi per il Partito Democratico e non viceversa, nella consapevolezza che non si tratterà di un processo indolore, perché il nostro riscatto corrisponderà allo scardinamento di santuari e potentati cui sottrarre privilegi per aggiungere alla quota di chi ha talento o bisogno. Siamo di fronte a un partito nuovo, da costruire. Ma prima di costruire, vorrei dire che è molto importante abbattere. Fidatevi, ho una certa esperienza nel ramo, abbiamo trasformato i 350.000 metri cubi di cemento abusivo di Punta Perotti nel più grande prato della città di Bari. Per poter costruire un PD sano e forte dobbiamo dunque abbattere. Abbattere le consuetudini, che ci fanno sprecare il tempo a cercare piccole alleanze da condominio, invece di concentrarci sulle grandi sfide che attendono il Paese. Dobbiamo abbattere l’abitudine a percorrere i bui viottoli del sottopotere, e provare a correre sulle autostrade della trasparenza e della responsabilità. Dobbiamo abbattere i privilegi ingiustificati di cui godiamo, e costruire una pratica quotidiana di temperanza e di sobrietà. Ho aderito al Partito democratico perché nel regolamento delle primarie c’era scritto: “se vuoi diventare segretario del PD nella tua regione, vuoi candidarti, o sostenere una candidatura, sul sito www.partitodemocratico.it scoprirai come fare”.
Sembrava uno scherzo, ma l’abbiamo fatto davvero. Il Partito democratico e le sue regole sono una opportunità allo stato unica nel suo genere. Con queste regole, tanto elementari quanto rivoluzionarie, possiamo fornire una risposta alla crisi della politica.
Si può scegliere. Ci si può far scegliere. La mia candidatura non sarebbe stata possibile senza queste regole.
Nessuno avrebbe potuto votarmi.
Nessuno avrebbe potuto candidarmi.
Tutto sarebbe avvenuto in un congresso al quale non avrei potuto mai partecipare.
La gioia di essere qui mi spinge dunque alla speranza ed all’impegno.
Con tutte le mie forze.


da www.micheleemiliano.it

Le critiche di Rosy Bindi: "non sono una guastafeste, però..."

- Roma, 29 ott - “Non fatemi passare per quella ‘solita guastafeste’ della Bindi: giuro che io l'altro ieri mattina ero contentissima. A sera è cambiato tutto. C'era solo una cosa che mi rammaricava molto. Speravo che si dovessero superare i simboli di Ds e Margherita ma non quello dell'Ulivo. Non aver trovato traccia delle radici vere del Partito democratico mi ha colpito. Ma nel simbolo elettorale ci dovranno essere le foglie dell'Ulivo”. Lo afferma Rosy Bindi in una intervista al Corriere della Sera nella quale torna a lanciare frecciate all’indirizzo di Walter Veltroni: “Le regole della democrazia interna di un partito non possono essere sostituite dal leader dal volto umano. Io la penso così: un segretario che ha il 76 per cento dei voti è forte, e tanto più è forte tanto più deve rispettare l'altro 24 per cento. E invece c'erano più di cinquecento delegati che non sapevano quello che sarebbe successo. Ora, io non voglio un partito immobilizzato, bloccato da accordi: voglio un partito che corra spedito, ma ci deve essere una condivisione per realizzare il progetto che aveva illustrato in mattinata. Anche Walter è stato eletto da una pluralità di liste in cui non la pensano tutti allo stesso modo. E infatti l'altra sera io e Parisi ci siamo arrabbiati, Letta ha fatto qualche mugugno, ma di facce felici in giro ne ho viste poche, anche tra i suoi sostenitori”. Secondo il ministro della Famiglia “la conclusione di Veltroni ha stressato così tanto il concetto di partito a vocazione maggioritaria fino ad apparire alla ricerca dell'autosufficienza. Non doveva farlo adesso, con una coalizione così complicata. Lo si è visto dalle reazioni degli alleati, che, tra l'altro, ti potevi aspettare. Insomma, ieri sera qualche dubbio mi è nato. Non puoi dire quanto è brutta la coalizione perché questo non aiuta Prodi”.
Rosy Bindi sottolinea che “posso anche mettere tra parentesi l'elezione di Franceschini: non era prevista da nessuna regola, però non infierisco. Ma ci sono due cose che non tornano e che non posso non far notare. Primo: dare i pieni poteri al segretario nazionale e a quelli regionali. Secondo: nominare a sorpresa i coordinatori provinciali e comunali”. E aggiunge: “Con le regole che Veltroni ha annunciato ha mortificato il cittadino-elettore che aveva esaltato al mattino. La stragrande maggioranza dei coordinatori era stata già decisa da Ds e Margherita, e coincide con i segretari, tant'è che alcuni nomi erano stati pubblicati da settimane. Sono metodi da vecchia, vecchissima politica. Non si vogliono eleggere direttamente? Almeno ci si impegni a prevedere l'incompatibilità tra ex segretari, coordinatori provvisori e nuovi segretari”. Il ministro prosegue affermando che “Veltroni deve capire che il nostro è un partito plurale. Sennò poi sa che succede? Che Letta, che alla vigilia dell'assemblea non ha convocato i suoi, finirà per farlo la settimana prossima”. Esclude quindi di essere interessata a formare una corrente: “Mi interessa contribuire all'indirizzo del partito e non deludere le attese di partecipazione che abbiamo suscitato con le primarie. Io so solo che in questi ultimi due giorni mi sono arrivati sms ed email di tanta gente, eletta con me, ma anche con Veltroni, che non è affatto contenta di questo avvio. E alcuni delegati hanno strappato la loro delega perché c'è gente che non è abituata a questi giochi di potere. Il Pd deve essere la casa di tutti”.

da www.partitodemocratico.it

domenica 28 ottobre 2007

Dispositivo votato dall'Assemblea Costituente

Il dispositivo proposto dal neosegretario Walter Veltroni, e votato ieri a Milano dall'Assemblea nazionale, ha indicato innanzitutto Dario Franceschini come vicesegretario del Partito democratico e Mauro Agostini come tesoriere.
Nel dispositivo Veltroni propone che entro il 30 novembre siano creati i gruppi del Pd a tutti i livelli istituzionali, dalle regioni ai comuni.
Per il 10 novembre sono convocate le Assemblee costituenti regionali.
Il 24 novembre in ogni provincia saranno eletti i coordinatori provinciali votati dagli eletti nelle primarie a livello nazionale e regionale e si costituirà un Coordinamento provinciale composto anche dai
Sindaci e dai Capigruppo Consiliari del PD nei Comuni capoluogo, dai Presidenti di Provincia e dai capigruppo provinciali del PD, dai consiglieri regionali e dai parlamentari aderenti a gruppi del PD
Entro il 23 dicembre saranno convocate delle assemblee di tutti i votanti alle primarie per costituire il PD nei territori, rilasciando ai partecipanti un "certificato" di "Fondatore del partito democratico".

Inoltre, Veltroni ha proposto che tutti gli eletti del Pd nelle diverse istituzioni contribuiscano al finanziamento del partito con il versamento di parte dei loro emolumenti. Veltroni ha scherzato su quest'ultimo punto, che ha annunciato avvertendo gli eletti "che se ne dovranno fare una ragione". Poi ha scherzato chiedendo un applauso piu' convinto dell'assemblea anche su questo aspetto del finanziamento.
Entro il 31 gennaio 2008 le tre commissioni composte da 100 delegati ciascuna dovranno definire lo statuto, il manifesto dei valori e il codice etico.

Ecco il testo completo del dispositivo approvato:


DISPOSITIVO APPROVATO DALL'ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE DEL PARTITO DEMOCRATICO
Milano, 27 ottobre 2007

L’Assemblea ha approvato a maggioranza le seguenti decisioni:

1. Ai sensi dell’art. 2 comma 3 del Regolamento Quadro per l’elezione delle assemblee costituenti del partito democratico, Dario Franceschini assume l’incarico di Vicesegretario del partito.

2. Sempre ai sensi dell’art. 2 comma 3 Mauro Agostini assume l’incarico di Tesoriere del partito.

3. entro il 30 novembre dovranno essere costituiti i gruppi del Partito Democratico ad ogni livello istituzionale;

4. gli eletti aderenti al partito democratico contribuiranno al finanziamento del partito al livello (comunale, provinciale, regionale, nazionale) territorialmente corrispondente;

5. il 24 novembre in ogni provincia gli eletti nelle assemblee costituenti regionale e nazionale eleggono, a maggioranza assoluta dei presenti e con eventuale ballottaggio tra i primi due, il Coordinatore provinciale. In caso di collegio riguardante più province l’eletto vota nella provincia con il maggior numero di elettori nello stesso collegio. Si costituisce altresì un Coordinamento Provinciale, composto dai suddetti eletti nelle assemblee costituenti, nonché dai Sindaci e dai Capigruppo Consiliari del PD nei Comuni capoluogo, dai Presidenti di Provincia e dai capigruppo provinciali del PD, dai consiglieri regionali e dai parlamentari aderenti a gruppi del PD. Il Coordinamento provinciale può allargarsi ad altre persone con il voto favorevole di due terzi i componenti dello stesso.
Le Assemblee Costituenti Regionali, convocate per il 10 novembre, possono prevedere la creazione di livelli equivalenti a quello provinciale per particolari situazioni territoriali o per le aree metropolitane.

Al segretario nazionale e ai segretari regionali è data delega di garantire la gestione provvisoria della fase costituente, sino all’approvazione dello statuto, anche attraverso la costituzione di organi collegiali provvisori.

6. entro il 23 dicembre saranno convocate dai Segretari regionali in accordo con i Coordinatori provinciali, assemblee di tutti i votanti alle primarie del 14 ottobre per costituire il partito democratico nei territori, secondo le modalità decise congiuntamente dal Segretario Nazionale e dai Segretari Regionali. Ai partecipanti alle Assemblee verrà consegnato un Certificato di “Fondatore del Partito Democratico”.

7. Al Tesoriere l’assemblea affida il mandato di adottare tutti gli atti giuridici necessari per la costituzione del partito nella fase transitoria sino dell’approvazione dello Statuto da parte dell’assemblea costituente.

8. Le funzioni di organo di garanzia del partito nella fase transitoria sono svolte dal comitato dei garanti delle Primarie.

9. In adempimento dei compiti affidati dall’art 2 comma 1, l’Assemblea nomina tre commissioni con il compito di predisporre, entro il 31 gennaio 2008, le proposte di Statuto, del Manifesto dei valori e del Codice etico da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea costituente entro il 28 febbraio 2008. Ogni commissione è composta da 100 componenti l’assemblea, metà uomini e metà donne, indicati dai candidati alla carica di segretario, proporzionalmente ai componenti eletti nell’assemblea collegati a ciascun candidato. Ogni commissione elegge nel suo seno un Presidente e un Relatore, può organizzare il proprio lavoro in sottocommissioni, e predispone forme di consultazione e coinvolgimento nelle scelte dei componenti l’assemblea costituente.

Qui potete vedere le liste dei componenti delle Commissioni

Assemblea Costituente del 27 ottobre: il discorso di Walter Veltroni


27 ottobre 2007

“Siamo giunti fin qui, si è aperta una porta di speranza”. Sono parole che vengono dalla rivoluzione democratica inglese, e mi paiono particolarmente adatte a una giornata straordinaria come questa.
Siamo giunti fin qui: finalmente i democratici, i riformisti italiani, hanno un partito. Una casa comune, grande e nuova. Il sogno che insieme a Romano Prodi abbiamo coltivato per così tanto tempo è diventato realtà. Con lui abbiamo camminato a lungo. Sono stati anni di lavoro e di impegno, che hanno messo alla prova la nostra fiducia e la nostra tenacia.
Ora si è aperta una porta, una porta di speranza: non solo per noi, ma per l’Italia, che da troppo tempo aspetta una politica adeguata ai suoi bisogni e alle sue ambizioni.
L’hanno spalancata, quella porta di speranza, i tre milioni e mezzo di italiani che il 14 ottobre hanno cercato il loro seggio elettorale, l’hanno raggiunto, non di rado a chilometri di distanza da casa, hanno fatto la fila per votare ed hanno versato chi un euro, chi di più, per finanziare questa grande impresa di innovazione politica.
Aveva ragione, Pietro Scoppola. La sua intelligenza, la sua passione civile, la sua capacità di prevedere e di non mollare ci hanno aiutato ad arrivare fin qui. Io voglio ringraziarlo, a nome di tutte le democratiche e i democratici. Poco più di un anno fa, al convegno di Chianciano dell’associazione “I Popolari”, questo nostro grande amico e maestro si augurava, e aveva ragione, “che una costituente del Partito democratico, se ad essa si arriverà, sia formata sulla base di una partecipazione aperta come quella che si è avuta nelle primarie”. “La partecipazione – spiegava Scoppola – è la condizione della novità; la novità è la condizione della confluenza” tra di noi.
Non era mai successo, in Italia e neppure in Europa, che un grande partito nascesse in questo modo: dal basso e non dall’alto, e da una così vasta partecipazione popolare. Non era mai successo che un partito esprimesse un’assemblea così ampia e rappresentativa, per la metà composta di donne, ad anticipare quello che è il nostro impegno, che qui voglio confermare: il 50 per cento di presenza femminile in ogni organismo e ad ogni livello.
Un’assemblea che ha dentro di sé la ricchezza di centinaia di giovani, di ragazzi che hanno meno di vent’anni, di ventitre persone di un’altra nazionalità, a portare punti di vista differenti, a segnare la nostra apertura e la nostra voglia di novità.
Come hanno rilevato molti autorevoli osservatori internazionali, l’Italia si conferma un laboratorio di inaspettata innovazione politica.
Due anni fa, alle primarie per il candidato premier del centrosinistra italiano, andarono a votare in più di quattro milioni. In Francia, alle primarie presidenziali, promosse pochi mesi dopo dal Partito socialista e giustamente salutate come un grande evento democratico, si sono espresse 200 mila persone. D’altra parte, erano complessivamente poco più di 300 mila gli iscritti a Ds e Margherita che partecipavano ai rispettivi congressi. Per eleggere assemblea costituente e segretario del Partito democratico si è mobilitata una cittadinanza ulivista dieci volte più grande: la stessa che aveva dato la sua preferenza a Romano Prodi alle primarie del 2005.
Il 14 ottobre abbiamo dunque avuto la conferma che più di tre milioni di persone, nel nostro Paese, si sentono parte attiva dell’Ulivo. E io voglio personalmente ringraziare tutte le donne e gli uomini che sono andati a votare, gli elettori democratici che lo hanno fatto per la prima volta e le migliaia di cittadini militanti nei due partiti politici che esprimono un patrimonio di passione e di consapevolezza politica che sarebbe offensivo ridurre alla dimensione di un impegno di apparato.
Tre milioni e mezzo di persone si sono dette disposte a dare credito al nostro partito, ma ad una precisa condizione: che il Partito democratico dia loro la concreta possibilità di far sentire e far valere la loro voce.
Perché una cosa deve essere chiara, e da domani praticata in ogni atto concreto di costruzione del nuovo partito: il voto del 14 ottobre è stato un voto per il cambiamento, e non per la continuità.
E’ stato, è vero, una risposta alla cosiddetta “antipolitica”, veleno del quale si alimentano le stagioni di difficoltà di una democrazia. Ma non è stata una risposta in difesa della politica così com’è, costosa e inconcludente, prepotente coi cittadini e impotente dinanzi ai loro problemi. Milioni di italiani hanno votato in nome di una politica nuova, più sobria nell’uso delle risorse pubbliche e più efficiente nell’amministrarle, più umile e più competente.
In altre parole, quel voto è stato una precisa richiesta di “discontinuità”. Di più: è stato esso stesso un atto di discontinuità, che ha fatto invecchiare di colpo molte delle consuetudini della politica italiana, rivelatesi quasi all’improvviso per quel che sono: inservibili come ferri arrugginiti.
Il nostro vero problema, adesso, è come evitare di mettere il vino nuovo in otri vecchi. E’ combattere la tentazione di inquadrare questa enorme novità dentro schemi tradizionali. E’ non lasciarci prendere dall’illusione che si possa semplicemente aggiungere il protagonismo di milioni di persone alla forma-partito che abbiamo conosciuto nel Novecento e della quale oggi sopravvivono pallide tracce.
Se fosse così, davvero avremmo fatto una cosa certamente utile, ma in definitiva modesta: da due partiti ne avremmo ricavato uno.
Ma non è stata questa l’ambizione che ci ha mosso e che ha mobilitato il nostro popolo. Insieme, abbiamo voluto dar vita ad un partito nuovo: per fisionomia organizzativa, per orientamento politico e programmatico, per orizzonte ideale e culturale.
Col loro voto, i tre milioni e mezzo del 14 ottobre hanno già fondato un partito che in Italia non c’è mai stato, diverso da quelli che conoscevamo prima: il Partito democratico sarà, perché così lo hanno voluto loro, un partito di cittadini-elettori.
Non potrà essere un partito tradizionale di iscritti, secondo i modelli già conosciuti nel Novecento. Modelli in crisi da molto tempo e, con il calo complessivo dei tesserati e l’abnorme aumento del ceto politico remunerato, da tempo rimpiazzati nei fatti dalla prevalenza di personale politico permanente o semipermanente: un partito di eletti o nominati che cooptano tra loro altri eletti o nominati.
Il popolo delle primarie ha travolto i modelli del passato e ha fatto emergere un nuovo protagonista: non più l’iscritto-tesserato né il politico professionista remunerato, ma il cittadino-elettore attivo, che perlopiù non intende dedicarsi stabilmente alla politica, ma rivendica il diritto di far sentire e pesare la propria voce nei momenti decisivi della vita del partito nel quale si riconosce.
Siamo dunque in presenza di una figura nuova, quella del cittadino-elettore attivo, il vero protagonista della fondazione del Pd: ed è attorno al primato di questa nuova figura che dobbiamo costruire il modello organizzativo del partito nuovo. Un modello nel quale la partecipazione viene prima dell’appartenenza. Nel quale la più grande energia nasce dalla più ampia libertà. Dall’insieme di autonomia e di responsabilità diretta. E’ una sfida di innovazione, ed è qualcosa che deve partire da noi, che deve entrare prima di tutto nella nostra testa.
Non succederà tutto dall’oggi al domani. Ma pian piano i vecchi schemi saranno superati con naturalezza, le identità che sembrano cristallizzate si adatteranno ai tempi nuovi, la visione crescerà con il circolare sempre più ampio delle idee, e in particolare con quelle dei giovani, che prima degli altri cominceranno a ragionare solo in termini di Partito democratico, e non pensando al passato. Come quei ragazzi che oggi crescono conoscendo e valutando solo l’euro, e non certo rifacendosi alla vecchia lira, come chi ha vissuto quel tempo può tendere ancora a fare. E il Partito democratico, che già oggi nasce con questo segno di innovazione, sarà sempre di più un partito nuovo.
Discuteremo e decideremo se darci o meno un tesseramento. In ogni caso, l’iscrizione non potrà più essere una condizione per partecipare. Sarà una scelta non totalizzante. Il segno della soddisfazione per aver aderito ad un partito veramente democratico, la promessa di una disponibilità a lavorare su basi volontarie per gli obiettivi comuni.
Le decisioni rilevanti dovranno essere prese con il metodo delle primarie aperte, ovvero dando la parola e lo scettro ai cittadini-elettori. Con il metodo delle primarie si sono scelti e si sceglieranno il leader e i segretari del partito a livello regionale; e lo stesso dovrà avvenire per i candidati alle massime cariche di governo nelle regioni, nelle province e nei comuni.
Il metodo aperto usato il 14 ottobre è quello che meglio corrisponde all’idea di un partito federale e plurale. Autonomia e federalismo saranno i tratti fondanti di un partito che saprà unire gli obiettivi dell’aderenza alle peculiarità locali e della coerenza con il disegno politico nazionale. Apertura e pluralismo saranno il modo di funzionare di un’organizzazione che poco o nulla avrà a che fare con le vecchie e tradizionali strutture di lavoro, che vivrà invece di momenti e di “forum” aperti alla più grande partecipazione e al contributo di tutti quegli studiosi e professionisti, di tutte quelle persone che rappresentano i mondi del lavoro, della produzione, delle istituzioni, delle università e degli enti di ricerca, del volontariato e dell’associazionismo sociale e culturale; che rappresentano, oggi, le migliori qualità italiane.
Il coraggio e la generosità con cui due grandi forze politiche, a cominciare da chi le ha guidate fin qui, Piero Fassino e Francesco Rutelli, hanno deciso nei loro congressi di dar vita al nuovo partito, devono ora trovare pieno e coerente riscontro in tutti gli atti che andremo a compiere, in ogni passaggio decisivo e in ogni scelta quotidiana che faremo in questo nostro grande lavoro di apertura e di costruzione.
Da domani esistono solo persone, sedi, idee, strumenti, luoghi e forme di confronto e di partecipazione del Partito democratico. E’ questo che dobbiamo costruire. Tutti noi, tutti quelli che hanno votato alle primarie, tutti coloro che da domani in poi vorranno avvicinarsi al Partito democratico. Tutti con questo unico grande obiettivo. Tutti con la passione e la responsabilità che questo impegno richiede.
Un partito strutturato più a rete che a piramide, presente e vivo nella società, in particolare attraverso la promozione, nelle forme meno dirigistiche e più autogestite possibile, in forte raccordo con fondazioni, istituti, associazioni, riviste, di una grande e diffusa pratica di formazione politica, rivolta soprattutto ai giovani come prima e principale proposta di coinvolgimento e impegno, e intesa come preparazione alla cittadinanza attiva e consapevole.
Un partito nel quale, in relazione a ciascun incarico politico, dovrà prevalere la valutazione delle qualità personali dei candidati rispetto alle vecchie appartenenze, a logiche oligarchiche o di corrente, a pratiche più o meno lottizzatrici.
Un grande partito di popolo, che parli delle cose di cui parla il popolo e non di quelle di cui parlano i circuiti mediatici, che costruisca una democrazia meno pesante e meno invadente, più lieve e più veloce.
Se siamo riusciti a mobilitare tre milioni e mezzo di nostri elettori non è stato certamente solo ed esclusivamente per la forza delle nostre organizzazioni, che dubitavano di raggiungere livelli assai meno ambiziosi. E’ stato anche perché siamo riusciti a parlare, spesso in modo radicalmente nuovo, dei temi che riguardano la vita delle persone, di fisco e di mercato del lavoro, di ambiente e di sicurezza, di contenuti e non di contenitori, di programmi e non di candidature. E forse è per questo che già oggi, prima ancora di nascere, i sondaggi ci attribuiscono il ruolo di primo partito italiano.
Un partito nuovo, ci hanno detto i nostri elettori, non nasce per se stesso, ma per l’Italia.
Il Partito democratico nasce con una missione precisa: rendere possibile l’innovazione che è necessaria all’Italia. Innovazione programmatica, innovazione istituzionale, innovazione politica.
Innovazione programmatica, innanzi tutto. Un amico dell’Italia, Anthony Giddens, ha scritto di recente che l’Italia è in Europa “la società bloccata per eccellenza”. E quel che è più grave è che “il senso della crisi, tanto visibile in Germania e in Francia, in Italia sembra non esistere. E’ un paese forse troppo abituato alle crisi, e all’avvicendarsi dei governi, per prendere troppo sul serio l’attuale impasse”.
L’abbiamo vista, questa difficoltà a prendere sul serio la crisi, in molte reazioni conservatrici alle proposte di innovazione avanzate in questi mesi dal Governo Prodi: quasi il Paese possa permettersi di andare avanti così. Con il debito pubblico che la rigorosa azione dei governi del centrosinistra aveva finalmente iniziato a far scendere e che nel 2005 è tornato per la prima volta a impennarsi. Con un avanzo primario passato dal 6,6% del Pil nel 1997 allo 0,3% del 2005. Con una spesa corrente al netto degli interessi passata dal 37,6% del Pil nel 2001 al 40% nel 2005. Con l’evasione fiscale arrivata a livelli record, con stime che la danno a 100 miliardi di euro, 23 dei quali recuperati in questo anno e mezzo anche per il maggiore rispetto che tutti gli italiani stanno dimostrando verso le norme fiscali.
Questa è la situazione ereditata dal governo Prodi, che in un anno e mezzo ha ottenuto risultati importanti: la riduzione del debito e del deficit, le liberalizzazioni, il recupero di credibilità dell’Italia sul piano internazionale e un accordo sul welfare su cui il giudizio più eloquente è stato espresso da cinque milioni di lavoratori. Una nuova dimostrazione di come il mondo del lavoro e il sindacato abbiano a cuore gli interessi generali del Paese e sappiano farsene carico.
Una dimostrazione di fiducia nell’azione del governo che il sistema dell’informazione sembra aver già dimenticato. E’ più facile enfatizzare una votazione negativa al Senato o una dichiarazione trionfalistica fatta da chi sembra aver dimenticato che quando era al governo con cento deputati di maggioranza per cento volte è andato in minoranza in un voto alla Camera. E bene ha fatto Prodi a richiamare tutte le forze di maggioranza ad una più forte coesione attorno al programma della coalizione. Voglio, Romano, che tu sappia di poter contare sul sostegno convinto e deciso del tuo partito, del Partito democratico.
Non è un caso che gli indicatori sul clima di fiducia delle imprese e anche dei consumatori siano migliorati rispetto agli anni del governo di centrodestra. E’ il frutto di misure concrete. Dalla stabilizzazione di migliaia di lavoratori precari alle regole più rigorose per i contratti a termine, dall’aumento delle pensioni minime al bonus per gli incapienti previsto dalla manovra finanziaria, fino alla riduzione di cinque punti e mezzo dell’aliquota Ires e alla semplificazione dell’imposizione fiscale sulle piccole imprese.
Sono segnali di inversione di tendenza in un contesto da anni critico per il nostro Paese. L’Italia è in ritardo in base a quasi tutti i parametri di Lisbona, compresi l’istruzione e gli investimenti nelle tecnologie dell’informazione, per non parlare dei tassi di occupazione, in particolare tra le donne in generale e gli uomini sopra i 55 anni. O dei salari, che proprio ieri il governatore Draghi ha sottolineato essere più bassi che negli altri principali paesi europei. Il tasso di natalità, poi, è il più basso al mondo, anche perché più dell’80 per cento dei giovani tra 18 e 30 anni vive ancora con i genitori. Il deficit di infrastrutture, come sappiamo, è una vera e propria emergenza.
Ed emergenza è il fatto che la flessibilità, che è parte dell’economia moderna, che può essere un’opportunità e una scelta, troppo spesso per i ragazzi italiani è inaccettabile frantumazione dell’esistenza e delle proprie aspettative. E’ qualcosa che ci tocca nel profondo, che riguarda la nostra stessa ragion d’essere, perché il Partito democratico è il partito del lavoro, delle persone che lavorano, che creano lavoro, che rischiano per realizzare le proprie aspirazioni, che hanno il diritto di ricevere le giuste tutele. Non potrei dirlo meglio di come ha fatto qualche tempo fa Alfredo Reichlin: “Nessun riformismo può essere fondato su lavori ‘precari’ e su ‘vite di scarto’, oggi condizione comune per milioni di lavoratori”. E’ quello che succede, se non ci sono le giuste indennità di disoccupazione, se non ci sono gli adeguati percorsi di formazione, se non si torna all’idea che forme di contratto a tempo indeterminato sono normali.
C’è una generazione che già oggi subisce, e che ancor più domani dovrà fare i conti, con la nostra distrazione o peggio il nostro egoismo. Con la nostra incapacità di riformare il welfare, di rendere accessibile e giusto il mercato del lavoro. Di scegliere secondo il merito e dare spazio al talento e all’impegno. Di costruire uguaglianza di opportunità e di rompere quell’immobilismo sociale che mortifica le persone e frena il Paese. Sì, ognuno di noi, ogni padre, farà sempre di tutto per aiutare il proprio figlio. Ma questo aumenta le disparità, non cambia le regole del gioco e non fa crescere davvero il Paese. E’ un’intera generazione di padri che deve entrare in contatto e preoccuparsi di un’intera generazione di figli.
Per questo parliamo di un nuovo patto generazionale. L’Italia deve dare la precedenza al futuro. Questo deve essere il criterio fondamentale delle scelte che tutti noi dobbiamo assumere. Bisogna avere il coraggio di mettere in discussione qualche certezza acquisita o rinunciare a qualcosa, se questo vuol dire creare un’opportunità per il futuro. Non c’è solo l’immediato. C’è il valore delle scelte che si fanno oggi per avere benefici domani.
Lo capì la generazione che nel dopoguerra rimise in piedi un Paese a pezzi dal punto di vista materiale e morale, ridandogli fiducia e slancio, ricostruendo Stato ed economia. Dobbiamo capirlo noi, e certo nasce con questa ambizione, per rispondere a questa funzione storica, il Partito democratico.
Diamo precedenza al futuro. Oggi noi siamo un Paese che spende tanto, ma male, e non solo per l’enorme peso del debito pubblico. La nostra spesa pubblica potrebbe produrre molto più sviluppo e molta più qualità sociale. In Europa siamo considerati la controprova del successo dei paesi scandinavi. Danimarca, Svezia e Finlandia dimostrano che è possibile avere allo stesso tempo finanze pubbliche in salute, bassi livelli di disuguaglianza e alti tassi di sviluppo, di competitività e di occupazione. Il contrario del nostro Paese.
La differenza sta nell’innovazione. I dati comparati a livello europeo ci dicono che i paesi che sono riusciti a realizzare riforme, cioè a immettere innovazione nell’economia, nella società, nel sistema pubblico, sono allo stesso tempo più competitivi sul mercato globale e riescono ad assicurare elevati livelli di giustizia sociale. I paesi come il nostro, che non riescono a riformarsi e ad innovare, non ce la fanno né a tenere il passo con gli altri nella crescita e nello sviluppo e nemmeno non dico a garantire l’uguaglianza, ma almeno a ridurre le disuguaglianze.
Faccio un solo esempio, su un tema che per me assume di più, ogni giorno che passa, l’aspetto di una priorità assoluta: la nostra lentezza nel produrre innovazione lì dove davvero potremmo, per il patrimonio ambientale e i fattori immateriali di cui disponiamo, essere un paese leader nel mondo globalizzato, creare opportunità di crescita economica e estendere il benessere delle persone e delle comunità. Perché non riusciamo a fare quel che si è fatto in Germania, dove negli ultimi dieci anni si è investito nel comparto delle fonti rinnovabili creando 200 mila posti di lavoro? Perché sono pochi i casi come quello della STMicroelectronics, che solo tre anni fa, guidata da Pasquale Pistorio, derivava il 25% dei suoi profitti dai vantaggi economici acquisiti con l’innovazione sul piano dell’efficienza e del risparmio energetico? Perché non si assume come grande obiettivo nazionale quello di fare dell’Italia un paese leader nella diffusione dei pannelli solari, sia termici per il riscaldamento che fotovoltaici per produrre elettricità?
Per questo l’Italia ha bisogno del Partito democratico. Perché noi abbiamo la cultura dell’innovazione che serve all’Italia. Una cultura che non è fatta solo di grandi riforme di sistema, ma anche di applicazione al governo quotidiano della spesa pubblica di una cultura imprenditoriale, che in qualche misura deve essere introdotta anche nella pubblica amministrazione e per i suoi dipendenti. Mettere sotto controllo e rendere produttiva la spesa pubblica: questa è la priorità.
Spendiamo quanto gli altri per la giustizia, ma da noi ci vogliono anni per una causa che negli altri paesi si risolve in mesi. Spendiamo come e più degli altri per la scuola, ma non sappiamo incoraggiare la motivazione e valutare il rendimento di chi fa formazione, e così finisce che a contare troppo è ancora il contesto sociale e familiare, e che le disuguaglianze tra i livelli di apprendimento non sono ancora a livelli inaccettabili. Mentre i quindicenni del Trentino raggiungono livelli di formazione di eccellenza paragonabili a quelli dei loro coetanei del Nord Europa, un quindicenne su cinque del Sud non possiede il bagaglio delle conoscenze definite “elementari” secondo gli standard internazionali. E si potrebbe continuare all’infinito, per dire che il problema per l’Italia è quello di rendere produttiva la spesa: per lo sviluppo e per l’uguaglianza.
Che stanno insieme. E non solo perché, come abbiamo sempre detto, non c’è sviluppo economico senza qualità sociale. Anche perché, come dobbiamo definitivamente imparare a dire, senza crescita dell’economia e delle imprese ogni obiettivo di equità sociale e di creazione di opportunità si allontana. O per essere ancora più chiari: se l’economia va male, non ci può essere giustizia sociale.
E’ anche per questo che il Partito democratico è a fianco delle imprese, che sono il motore della crescita del Paese, che sono uno dei fondamentali fattori della sua “salute”.
E’ pensando alle imprese, oltre che alle famiglie italiane, che abbiamo parlato di un nuovo patto fiscale, della necessità e della possibilità di cominciare subito a pagare meno tasse per pagarle tutti, recuperando risorse dalla lotta all’evasione, come sta facendo il governo Prodi, dall’abbattimento del debito e appunto dalla riqualificazione della spesa pubblica. Ed è pensando alle imprese che dobbiamo preoccuparci di riallineare i tempi della politica con quelli dell’economia: le aziende del Nord corrono, affrontano le sfide della competizione internazionale. A loro va fatto sentire che lo Stato è loro amico e sa riconoscere e valorizzare chi sceglie la via dell’innovazione, della qualità, dell’eccellenza. A loro vanno garantiti servizi efficienti, infrastrutture e un contesto di sicurezza.
Sicurezza che è una delle questioni fondamentali su cui dobbiamo proseguire sulla strada presa, vincendo definitivamente timidezze e conservatorismi, perché non può essere chi non sa nemmeno cosa siano l’integrazione e l’inclusione, ad affrontare nel modo giusto tutto ciò che ha a che fare con il contrasto della criminalità e dell’illegalità.
La politica deve rispondere a tutte queste domande. Deve saper decidere con rapidità e dare tempi certi. Non è possibile, ad esempio, che si sia cominciato a parlare della Pedemontana lombarda alla fine degli anni 60, e che dopo decenni persi a fare un passo avanti e due indietro, si sia arrivati al progetto preliminare solo alla fine del 2005, per arrivare finalmente al bando per la progettazione definitiva la scorsa estate. Dopo il superamento degli ultimi intoppi burocratici, la Pedemontana aprirà i suoi cantieri tra il 2009 e il 2010 per chiuderli tra il 2015 e il 2016. Tanto hanno dovuto e dovranno aspettare le aree di Varese, Como, Lecco, Bergamo e della Brianza per essere collegate tra loro in modo più efficiente senza convogliare traffico supplementare sull’area di Milano. Tanto dovranno aspettare i cittadini, per un’arteria di 87 km che farà risparmiare 23 milioni di ore l’anno di tempo, di traffico, di inquinamento. Tradotto in termini economici, significa un risparmio di oltre 500 milioni di euro l’anno. E questo della Pedemontana lombarda non è purtroppo, come sapete, l’unico caso. Basti pensare al Passante di Mestre o all’eterna vicenda della Salerno-Reggio Calabria.
Noi abbiamo bisogno di una politica semplice, che sappia ascoltare le esigenze dei cittadini, di una democrazia che decida.
L’Italia è malata. La sua malattia è la crisi evidente del nostro sistema democratico. Quasi quaranta partiti, una gara imbarazzante per la visibilità di ciascuno, ognuno che si sente, e purtroppo è, decisivo perché viva una coalizione, un governo, una legislatura. Due senatori, nella democrazia malata del nostro Paese, pesano più di milioni di cittadini che hanno eletto un governo. Un sistema malato, dominato dall’odio, in cui tutti vogliono distruggere e pochi assegnano a se stessi il compito di costruire.
Invece l’Italia ha bisogno di un nuovo inizio, di una nuova stagione. Ha bisogno di una democrazia che decida. Ha bisogno di una nuova coscienza civile, di un nuovo senso della legalità e del valore delle regole. Ha bisogno che si affermi l’etica della responsabilità sul cinismo della furbizia, ormai diffusa.
Un’Italia nuova nasce da un nuovo assetto istituzionale. Se qualcuno mi chiedesse qual è, guardando in Europa, quello che preferisco, risponderei quello francese. Tutto: sistema istituzionale e legge elettorale.
Ma so che insieme a ciò che è giusto c’è ciò che è possibile. E allora penso che dobbiamo, oggi, da qui, rivolgere un appello a tutte le forze politiche italiane, di maggioranza e di opposizione.
Davvero è interesse dei nostri cittadini che il Paese precipiti verso nuove elezioni? Elezioni il cui esito sarebbe solo nuova ingovernabilità, nuove risse, nuova frammentazione? I nostri avversari sbagliano se pensano che il clima in cui si voterebbe sarebbe lo stesso di una ipotetica festa dei banchi dell’opposizione per la caduta del governo Prodi.
La destra ha governato il Paese per sette di questi ultimi tredici anni. Il leader dell’opposizione si è candidato alla presidenza del Consiglio già quattro volte, la prossima sarebbe la quinta, cosa che non succede in nessun paese del mondo.
Nessuno può fare la parte del passante o negare la propria quota di responsabilità nella crisi del nostro sistema. Sette anni di governo non sono un giorno. Con lo stesso numero di anni molte città italiane sono cambiate profondamente.
E c’è un’aggravante. Il centrodestra si è sempre opposto ad ogni dialogo per le riforme. Prima con la bicamerale, poi con lo strappo della “devolution”, oggi dicendo, di fronte all’evidente crisi di sistema, “niente dialogo, subito alle urne”.
Sia chiaro, dobbiamo imparare, noi per primi, che la Costituzione si cambia solo insieme, che non può reggere un Paese in cui ogni maggioranza che vince si fa le riforme che vuole.
Nella scorsa legislatura la maggioranza non era esigua, ma il Paese non ha conosciuto modernizzazione, né innovazioni profonde. Le ragioni sono legate tra loro. La prima è la frammentarietà di coalizioni nate come assemblea dei nemici dell’avversario. Non ci sono culture e visioni che uniscono, né progetti veri da attuare. Ma la seconda ragione è legata al fatto che non funziona la catena dei poteri. E questo provoca, in tutto il tessuto del Paese, una confusione di ruoli, limiti, responsabilità.
Il potere democratico deve essere esercitato. E deve essere, allo stesso tempo, potere e democrazia. La sinistra ha avuto, in diverse fasi, paura della prima parola. Come se decidere, governare fosse ridurre la ricchezza della partecipazione. E invece è l’impotenza di chi decide, la frustrazione maggiore per i cittadini che votano. Votano e vorrebbero decidere chi governa. E non vedere vertici e verifiche, ministri che si dimettono a ripetizione, come nel passato governo, o quelli che litigano in tv, come succede oggi.
I cittadini vogliono votare e vogliono che il Paese sia guidato, per cinque anni, da un governo. Vogliono poi potere, con i loro movimenti e con le loro associazioni, pesare sugli indirizzi.
Questa è la vera democrazia. Il potere e la partecipazione. Non una melassa indistinta in cui è impossibile decidere e diventa persino difficile partecipare. Al Partito democratico vorrei dire di non avere paura di innovare, anche in questo campo.
Ma è qui che rivolgo un appello a tutte le forze politiche. Fare cadere il governo Prodi e andare a votare con questa legge sarebbe un atto irresponsabile. Facciamo, per una volta, ciò che il Paese chiede. Ciò che il Presidente Napolitano, interpretando questa richiesta, esorta tutte le forze politiche a fare. Ciò che è alla nostra portata, ora, in Parlamento, in pochi mesi. Facciamo quello che i cittadini si aspettano e su cui concordiamo: una sola Camera legislativa, la metà dei parlamentari nazionali, più poteri al premier, più velocità di approvazione per le leggi proposte da chi governa. E votiamo contestualmente una riforma del regolamento parlamentare che stabilisca che non sarà più possibile formare dei gruppi che non abbiano la stessa sigla con cui si sono presentati alle elezioni.
Facendo questo, avremo delineato un quadro delle riforme urgenti e possibili e dunque sarà più facile trovare un accordo, anch’esso possibile, sulla legge elettorale.
In questi giorni, leggendo i giornali, ho scoperto di essere in prima pagina il lunedì in una alleanza di ferro con Fini contro il sistema tedesco. Poi il martedì di avere stretto un patto d’acciaio con Bertinotti a favore del sistema tedesco. Intanto il mercoledì avrei complottato per far cadere il governo di Prodi al quale il giovedì mi legherebbe un patto per l’intera legislatura.
A forza di guardare oltre, di non fidarsi di ciò che si dice, si finisce con l’attribuire agli altri le proprie convinzioni.
Devo fare una premessa, per oggi e per domani. Io non coltivo l’idea che un uomo politico debba ogni giorno stare in televisione, ogni giorno dire la sua su tutto, ogni giorno animare o rispondere ad una polemica. Sono fatto così. Penso che la televisione consumi volti, parole, idee. Penso che abbia ragione Giorgio Napolitano a dire che ci debbano essere meno politici in tv. Ma penso anche si debba smetterla con un’idea contabile della par condicio. Un’idea secondo la quale non si può parlare di un tema se non c’è, nello stesso luogo e nello stesso momento, qualcuno che rappresenti la posizione contraria. Basterebbe passare ad una concezione meno burocratica e chiedere ai conduttori di garantire la pari dignità delle opinioni su base settimanale o mensile e non in ogni minuto di ogni trasmissione. Ho nostalgia delle belle interviste di Zaccagnini o di Berlinguer in tv. Ognuno esponeva le sue idee e i cittadini giudicavano non le urla che si sovrapponevano ma le parole e la sincerità di ciascuno.
La mia opinione sul sistema elettorale è che esso debba essere ispirato ad alcuni principi chiari: superare la frammentazione, superare i governi senza maggioranza certa e senza alternanza, superare l’anomalia dei candidati decisi dai partiti e non dai cittadini.
Lungo queste tre direttrici si può scrivere la legge giusta per un Paese che ha tanti partiti e deve ridurli, che ha metabolizzato il bipolarismo e vuole poter decidere i governi con il voto, che ha amato scegliere i candidati nei collegi.
Il sistema tedesco o quello spagnolo non giacevano, quando furono adottati, in qualche deposito di sistemi preesistenti. Sono stati il vestito giusto per il loro paese in quel momento. Sono stati creati dalla necessità storica. Dall’esigenza di non limitarsi a rispecchiare le singole appartenenze o tendenze di opinione, ma di riuscire a canalizzarle, favorendo le aggregazioni in grandi forze a vocazione maggioritaria.
In Francia l’Ump di Sarkozy al primo turno delle elezioni legislative, lo scorso 10 giugno, ha ottenuto insieme ai suoi alleati minori il 41,9% dei voti: una settimana dopo, alla chiusura del secondo turno, ha conseguito con essi il 59,4% dei seggi, il necessario per governare. Dal 2005 il Labour Party governa col 55,2% dei seggi, ottenuto sulla base del 35,2% dei voti. Zapatero governa dal 2004 la Spagna con un 46,9% di seggi ottenuto a partire da un 42,9% dei voti. In Germania Cdu e Spd con il 35,2% e il e il 34,3% hanno poi avuto rispettivamente il 36,8% e il 36,2% dei seggi.
Quello che voglio dire è che in Europa, al fine di salvaguardare la stabilità dei governi, i sistemi elettorali proporzionali hanno sempre una correzione in senso maggioritario. Credo che ne dovremo tener conto, tanto più in ragione della frammentata situazione italiana.
Lavoriamo lungo questi assi, e con questi modelli. Cerchiamo una soluzione condivisa. Ma evitiamo, per il bene dell’Italia, di tornare a votare con questa legge. Meglio di questa legge, giudicata, non dimentichiamolo, in modo tranciante dagli stessi che l’avevano voluta e approvata, è anche l’esito referendario. Ma meglio ancora è che il Parlamento, in queste settimane, dia al Paese una legge coerente che adatti i modelli europei alla nostra condizione particolare.
Noi cercheremo e sosterremo ogni soluzione migliorativa che possa evitare di tornare a votare con la legge attuale. Siamo guidati da una sola necessità politica che consideriamo non nostra ma del Paese. Il futuro dell’Italia è in partiti con maggioranze coese sul piano programmatico. Mai più una legge che costringa ad alleanze forzate e dunque a governi deboli.
L’ho detto in questi mesi, e anche su questo quasi il 76% dei cittadini delle primarie ha voluto darmi fiducia: il Partito democratico pensa nella prossima legislatura ad una nuova stagione politica ispirata alla centralità dei programmi e al valore della coesione.
Ne sono così convinto da pensare che il Paese tra un messaggio confuso, vecchio ed eterogeneo dei nostri avversari e la nitidezza di un partito che si presenti con un programma netto di innovazione, la gara sarebbe del tutto aperta.
Ed è una gara che, in ogni caso, noi giocheremmo con l’obiettivo di conquistare la maggioranza degli italiani, che è stanca della vecchia politica, dell’odio inconcludente, dei riti, delle divisioni. E l’obiettivo è raggiungibile, è possibile. Dipenderà da quanto il Partito democratico riuscirà a rappresentare quei valori di unità e di novità che costituiscono il nucleo forte del suo progetto. Dipenderà dalla sua capacità di dialogare con la vita reale dei cittadini e con le associazioni e i movimenti che li rappresentano.
E anche dalla sincerità, e se posso dire dall’umiltà, con le quali lavorerà per intessere il dialogo e possibili convergenze con altre forze. A cominciare dal movimento dei repubblicani europei, con il quale vogliamo continuare il cammino intrapreso in questi anni. E con uno sguardo rivolto, con particolare attenzione, a quelle forze di ispirazione laica e socialista che possono e devono essere interlocutore necessario di una grande forza riformista. Allo stesso modo voglio rivolgermi ai dirigenti e ai militanti della sinistra democratica che per molti anni hanno come me creduto all’utilità della nascita di una grande forza che facesse riferimento all’esperienza dell’Ulivo. Spero si possa avviare un dialogo e un confronto, con l’obiettivo di ripartire da dove ci siamo lasciati un po’ di tempo fa. Con particolare attenzione dovremo rivolgerci alle esperienze pre-politiche, associative, del volontariato che esprimono la ricchezza della presenza cattolica nella società italiana.
Ma complessivamente, il Partito democratico è interessato a che evolvano processi aggregativi e innovazioni programmatiche e di valori in tutto il sistema politico italiano. Per questo guardiamo con rispetto e interesse alla possibile formazione di un’area di sinistra radicale che abbandoni definitivamente schemi ideologici.
Innovazione programmatica e istituzionale, dunque. E innovazione politica. Da tempo, infatti, abbiamo varcato la soglia del terzo millennio, e da tempo avvertiamo l’insufficienza delle categorie culturali sulle quali si è retta la politica di partito lungo l’arco del Ventesimo secolo. Perché di quelle categorie culturali sono venuti meno in gran parte i presupposti strutturali: basti pensare al primato dello Stato nazionale in una dialettica con mercati altrettanto nazionali; o alla società industriale fondata sulla produzione di massa e standardizzata.
Al loro posto, abbiamo a che fare con la globalizzazione dei mercati e con la società della conoscenza e dei servizi. D’altra parte, le grandi questioni ambientali hanno revocato in dubbio l’ideologia dello sviluppo illimitato e meramente quantitativo, mentre gli stessi progressi bio-medici propongono inediti dilemmi morali alla intelligenza e alla coscienza dell’umanità contemporanea.
Noi abbiamo deciso di dar vita ad un partito e di chiamarlo “democratico” in una fase storica nella quale si va diffondendo il dubbio sulla plausibilità stessa di una visione umanistica della politica: è ancora possibile, ci si chiede da molte parti, dinanzi a fenomeni di proporzioni così gigantesche, che essi siano dominabili dalla libera volontà delle donne e degli uomini che abitano il pianeta e dunque siano, almeno entro certi limiti, oggetto di discussione e decisione democratica?
Molti sono gli elementi di fatto che spingono a rispondere di no. E infatti molti parlano e scrivono, non senza argomenti dalla loro parte, di fine della democrazia, della politica, perfino della storia. Di tramonto dell’illusione umanistica, travolta dall’impersonale materialità di meccanismi globali ingovernabili.
Ma proprio la radicalità della sfida che sta dinanzi a noi, ci dice quanto ambizioso e tutt’altro che “leggero” sia osare definirci “democratici”. Non si tratta di un’identità residuale, ottenuta per sottrazione di aggettivi qualificativi: liberale, socialista, cristiano.
Si tratta al contrario di fare i conti con la vera questione, intellettuale e morale, del nostro tempo, alla quale pur provenendo da storie diverse, e anzi valorizzando ciò che è vivo di ognuna delle culture che abbiamo alle spalle e delle tante contaminazioni alle quale esse hanno dato vita, intendiamo dare una risposta comune: noi, i democratici, crediamo nella possibilità di un governo umanistico delle grandi sfide del nostro tempo e per questo intendiamo impegnarci con tutte le nostre forze e costruire le necessarie alleanze in Europa e nel mondo.
Noi democratici crediamo che un rafforzamento dell’Europa politica sia una condizione imprescindibile per far avanzare una prospettiva di pace nel mondo. E crediamo che il multilateralismo, ovvero il primato della politica e del diritto nelle relazioni internazionali, possa scongiurare la prospettiva dello scontro di civiltà ed evitare una nuova fase di corsa agli armamenti e di proliferazione nucleare. Soprattutto oggi, quando dopo anni di riduzione degli arsenali, Stati Uniti e Russia sono tornati ad aumentare le spese per il loro ammodernamento e potenziamento. Quando dobbiamo sentir dire dal Presidente Putin che nei rapporti con gli Stati Uniti è tornato il clima della crisi dei missili del 1962. E contro il riarmo nucleare bisognerà far vivere un nuovo grande movimento d’opinione.
Noi democratici crediamo nella possibilità di regolare il mercato globale e di orientare la crescita economica mondiale verso gli obiettivi di sviluppo umano indicati dalle Nazioni Unite, potenziando e democratizzando gli strumenti di politica economica internazionale e di negoziato commerciale multilaterale.
Noi democratici crediamo che non possa esserci sviluppo umano senza libertà e senza il pieno riconoscimento del valore universale dei diritti umani, dinanzi al quale non è accettabile alcun relativismo.
Noi democratici crediamo che sia possibile salvaguardare la vita sulla terra ed evitare danni irreversibili all’ecosistema attraverso accordi di contenimento delle emissioni nocive e di investimento nella ricerca sulle fonti energetiche rinnovabili.
Allo stesso modo, crediamo nella libertà della ricerca scientifica e nel dibattito pubblico aperto e laico come sede per la valutazione responsabile del bilanciamento tra i vantaggi delle applicazioni delle tecnologie bio-mediche e i rischi che esse comportino per la dignità della vita umana.
Per dirla in modo sintetico, noi democratici crediamo nel primato della ragione e del suo strumento principe: la parola, il dialogo, la ricerca comune, la creatività, l’immaginazione. E sentiamo estranea una visione che riduca la politica a mero calcolo dei rapporti di forza, quasi essa fosse, come pure è stato detto, la continuazione della guerra con altri mezzi.
Lo voglio ripetere: basta con l’odio. L’odio non fa altro che moltiplicare l’odio, e se rompe gli argini genera la violenza.
Un grande scrittore, che vive in una terra ferita e sofferente, ha detto una volta pensando a noi, al nostro Paese: “In Italia si fa fatica a comprendere come si vive, sempre in guerra e nella paura. Voi siete fortunati”. David Grossman ha poi però aggiunto parole che valgono per tutti e per ogni luogo: “Quando le persone vivono nel campo magnetico dell’odio e della violenza, agiscono in un modo drammaticamente sbagliato, contro il loro stesso interesse di uomini e di popolo”.
Allontaniamo da noi questo campo magnetico. La stagione dell’odio deve finire. Possibile non si possa vivere e fare la politica senza odiare, senza cercare ovunque nemici, rispettando gli avversari e le loro idee? Chi non vuol capirlo non solo insiste nel fare un danno al Paese: decide di proseguire su una strada lungo la quale agli occhi degli italiani diverrà lontano, estraneo.
Il Partito democratico aprirà in questo senso una nuova stagione di civiltà politica. E lo farà, se così dovrà essere, anche unilateralmente. Nella convinzione che di questo l’Italia abbia bisogno. Di un tempo in cui le convenienze di parte spariscono, quando di fronte si trovano le esigenze complessive del Paese. Di saggezza e lungimiranza. Di rispetto per le istituzioni e cura del loro funzionamento.
Il nostro è un grande Paese, nessuno lo dimentichi mai. Dobbiamo riscoprire tutto l’orgoglio di questo. Lo ha detto pochi giorni fa un manager che ha salvato e rilanciato ai massimi livelli la più grande azienda italiana. Un uomo che sa benissimo che questo risultato è stato raggiunto perché ogni dirigente, ogni impiegato, ogni operaio ha saputo mettere nel suo impegno di ogni giorno l’attenzione e la passione che arrivano quando si condivide uno stesso grande obiettivo. E che per questo, senza nulla togliere al ruolo della contrattazione nazionale, come è giusto sia, sa riconoscere il valore del lavoro anche con scelte di discontinuità e di innovazione. “L’Italia – ha detto Sergio Marchionne – è un Paese che deve imparare a volersi bene, deve riconquistare un senso di nazione”.
Non a caso abbiamo scelto Milano come luogo di nascita del Partito democratico. Milano è da sempre il simbolo dell’Italia produttiva, dell’economia che sa interpretare i cambiamenti e trasformarsi con essi. Milano è la città di tante battaglie democratiche, a cominciare da quelle della Resistenza. Ma Milano è, per me, e per quelli della mia generazione, la città nella quale sono caduti uomini come Luigi Calabresi, come il giudice Alessandrini, come Walter Tobagi, come quello splendido esempio di italiano coraggioso e per bene che era Giorgio Ambrosoli. E Milano è stata ed è anche la città di Giorgio Strehler, di Paolo Grassi, di Indro Montanelli, del Cardinal Martini. E’ a questa grande città italiana che anche da qui vogliamo far sentire il nostro sostegno e il nostro impegno per la sfida dell’Esposizione Universale del 2015.
L’identità di noi democratici italiani è un’identità aperta, che molto deve e qualcosa pensa di poter offrire ad altre esperienze riformiste, in Europa e oltre. Un’identità che proprio perché nasce dall’incontro di storie e culture diverse, intende contribuire a promuovere più ampie e nuove aggregazioni riformiste, europee e internazionali: un nuovo campo, che oltre quella socialista esprima la molteplicità delle culture democratiche e dell’innovazione che esistono in tanta parte del mondo.
Per quanto mi riguarda, sono ben consapevole di assumere una grande responsabilità, che avrò la fortuna di condividere con tanti altri e per primo con Romano Prodi. E’ una responsabilità nei vostri confronti, di questa Assemblea, di coloro che hanno sostenuto le mie liste come anche di chi ha preferito scegliere Rosy Bindi o Enrico Letta, Mario Adinolfi o Piergiorgio Gawronski. E’ una responsabilità che affronteremo insieme a Dario Franceschini, che sarà al mio fianco con la convinzione e l’entusiasmo per un progetto che sognavamo e speravamo insieme già dieci anni fa. Ed è inevitabilmente una responsabilità, per tutto quello che abbiamo detto, nei confronti del nostro Paese, di tantissimi italiani, che molto si aspettano dalla nascita del Partito democratico.
Concludo con le parole di uno di loro. E’ una lettera che mi è arrivata qualche giorno fa, all’indomani delle primarie. Ha un altro tenore rispetto a quella della ragazza che lessi a Torino, al Lingotto. E’ un’altra storia, sono altre speranze, ma mettendole insieme esce il ritratto della stessa Italia e si capisce la grandezza del compito che ci attende, il motivo per cui diciamo che la nostra stella polare è data dall’unione di crescita economica ed equità, di libertà e giustizia sociale, di opportunità e di solidarietà.
“Caro Veltroni”, inizia la lettera, “mi chiamo Flavio Cima e sono un giovane imprenditore di Bologna. Non capisco molto di politica e non mi piace affatto, ogni volta che accendo la Tv, sentire gente che urla e che litiga. Mi scuserà se le dico che non ho fiducia nel fatto che i politici possano fare gli interessi delle persone, e in particolare di quelli come me che lottano disperatamente per riuscire ad affermare un progetto concreto in cui credono. Sento dire continuamente che bisogna aiutare i giovani, che l’imprenditoria giovanile va aiutata. Per la mia esperienza le posso assicurare che se non avessi avuto la mia famiglia alle spalle non avrei potuto accedere neanche al credito bancario. Ho rilevato, con l’aiuto economico della famiglia quindi, una piccola azienda artigiana che produce accessori di abbigliamento di qualità e sto cercando di posizionare la mia attività su un livello medio-alto allo scopo di contrastare l’invincibile concorrenza cinese. Ma è dura, soprattutto per un giovane, riuscire a rimuovere la naturale ritrosia del mercato ad accettare il nuovo, l’emergente, in definitiva lo sconosciuto. Lei si chiederà perché le scrivo tutte queste cose. Gliele scrivo perché ho visto che tante persone domenica scorsa le hanno dato fiducia e questo ha rassicurato un po’ anche me. Le scrivo perché secondo me la politica, i politici, dovrebbero occuparsi dei problemi concreti delle persone e soprattutto dei giovani che, come si dice, rappresentano il futuro. Le scrivo perché non mi sento diverso dagli altri ragazzi italiani: certe volte vorrei essere solo preso sul serio, vorrei che anche la mia piccola azienda sconosciuta potesse per un momento essere al centro di qualcosa di importante”.
E’ in fondo questo, il senso profondo del Partito democratico, la sua missione e il suo concreto compito. Far sentire ogni italiano al centro di qualcosa di importante. Restituire speranza, fiducia nelle proprie possibilità e nelle opportunità offerte da una società dinamica e giusta, fiducia in Paese unito, in un’Italia nuova, capace di cambiare, di innovare, di crescere, abbandonando tutti i conservatorismi e dando precedenza al futuro.

sabato 27 ottobre 2007

A Milano nasce il Partito democratico

da www.dsonline.it

26 ottobre 2007 Il momento tanto atteso è finalmente arrivato. Oggi al padiglione 16 del nuovo Polo fieristico di Milano si riunirà per la prima volta l’Assemblea costituente del Partito democratico, eletta lo scorso 14 ottobre, quando 3 milioni e mezzo di cittadini italiani invasero i seggi predisposti in tutta la penisola dal Comitato promotore per la Primarie.

Se quello di due settimane fa può essere considerato il momento della grande partecipazione popolare, quello di oggi è il vero e proprio atto di nascita del nuovo partito. Domani si riuniscono i 2850 eletti alla Costituente, si proclama segretario Walter Veltroni, forte del voto di tre cittadini su quattro che hanno votato alle primarie.

Oggi a Milano saranno molti i punti all’ordine del giorno, molte le decisioni che verranno prese. Davanti alla scenografia predisposta nel padiglione 16 della nuova fiera di del capoluogo lombardo, si siederà l’assemblea al completo. Sarà Romano Prodi ad aprire i lavori. A seguire il tanto atteso intervento del segratario Walter Veltroni. Poi altri interventi, brevi per non tradire il proposito di svolgere una riunione snella e non pedante. Di sicuro prenderanno parola anche Rosy Bindi ed Enrico Letta.

Altra cosa certa sarà la nomina delle tre commissioni di lavoro che dovranno redigere la bozza del codice etico del nuovo partito, la bozza dello statuto e della carta dei principi. Ogni commissione sarà composta da un centinaio di delegati, e rispetteranno il principio di parità tra uomini e donne.

A proposito della forma partito, hanno detto la loro due tra le maggiori personalità del partito, Dario Franceschini e Pierluigi Bersani. Secondo loro il Pd sarà un partito dal “doppio binario”: da una parte i militanti, dall’altra la società civile che ha partecipato alle primarie del 14 ottobre e che in futuro parteciperà alle decisioni del Pd anche attraverso nuove formule. “I tesserati - spiega Bersani - saranno i militanti della politica, poi alcune decisioni si prenderanno, magari per statuto, anche attraverso le primarie”.

“Una volta - è il ragionamento di Franceschini - il partito era una fede, se il marito votava in un modo e la moglie in un altro, voleva dire che c’era qualche problema nel matrimonio. Oggi le cose sono cambiate e c’è una straordinaria mobilità nell’elettorato”. Per cui il nuovo soggetto politico, secondo Franceschini, “non si può fondare solo sulla militanza permanente”. “Se chiediamo ai tre milioni e mezzo di persone che hanno partecipato alle primarie di iscriversi al Pd, forse lo fa un decimo”, sottolinea il capogruppo dell’Ulivo alla Camera. Quindi, “serve un doppio binario, per cui è chiaro che da un lato non va disperso il patrimonio dei militanti, ma dall’altro lato serve un metodo collettivo di costruzione del consenso”.

Per questo, prosegue Franceschini, “se si tratta di prendere una decisione su un argomento come un inceneritore, dovranno essere sentiti anche i cittadini con qualche formula di partecipazione che vada di pari passo con la scelta dell’assessore o del dirigente locale”. Secondo Bersani, il partito dovrà avere una “vocazione popolare” anche se poi “dopo una formazione collettiva delle decisioni sarà la classe dirigente a indicare la linea”.

Il Partito democratico nasce comunque come una grande innovazione della politica italiana e lo si vedrà domani a Milano dalla platea che comporrà l'assemblea costituente. Lo dice Piero Fassino, sottolineando "il primo fatto inedito" cioè un'assemblea costituente composta "per metà da uomini e per metà da donne, è un'immagine nuova e importante, è la prima volta dal '45 ad oggi che le donne rappresentano il 50% di un'assemblea costituente". La seconda novità, rileva l'ex leader dei Ds, è che "i due terzi dell'assemblea sono persone che non hanno mai partecipato alla fondazione di un partito. Questa platea segna già una grande innovazione". Quanto all'organizzazione dei lavori Fassino spiega che domani si costituiranno "tre gruppi di lavoro" uno sullo statuto, uno sul codice etico, uno sul manifesto. Infine riguardo alla forma partito, dice: "Vogliamo che sia un partito radicato ma molto aperto che sviluppa l'esperienza dell'Ulivo ma che la superi".

L’attesa è molta, molta la curiosità di sentire le relazioni soprattutto di Romano Prodi e del neosegretario Veltroni. Nel frattempo c’è chi comincia a portarsi avanti e lanciare il proprio messaggio con il dovuto anticipo. E’ il caso del ministro Paolo Gentiloni, che approfitta dello spazio sul suo blog. “In una riunione così solenne e affollata non ci sarà spazio per intervenire e quindi uso questo post – scrive il ministro Paolo Gentiloni nel suo blog - per mandare due sms a Veltroni e a tutti noi. Primo sms: prendiamoci il rischio di fare le cose di cui abbiamo a lungo parlato. Non so se capiterà altre volte di poter accorciare la distanza tra quello che facciamo e quello che sarebbe giusto fare. Secondo sms: non dimentichiamo quei 3,5 milioni di italiani che dieci giorni fa sono andati a votare per le primarie. Non ci hanno firmato una delega in bianco e pretendono risultati”.

Su quest’ultimo punto ha insistito molto anche il ministro Giovanna Melandri, che vede nella giornata di domani l’inizio “di una nuova avventura e una nuova storia per la politica italiana. I tre milioni e mezzo di cittadini che hanno partecipato alla nascita del nuovo Partito democratico ci incoraggiano e ci investono di una grande responsabilità: costruire un partito che restituisca senso e dignità alla politica, oggi troppo spesso ridotta alla difesa di rendite, privilegi e egoismi corporativi. Occorre ora inventare forme nuove e moderne di partecipazione. Il Pd nasce anche per questo”.

Intanto anche all’estero il Pd comincia a muovere i primi passi. A Madrid, per esempio, si è svolto ieri il primo incontro del Comitato promotore del Partito democratico. Si sono definite le linee guida dell’attività da svolgersi nei prossimi mesi. A breve si terrà un incontro pubblico mentre numerose sono state le proposte di iniziative e attività sia sociali che culturali da far partire nei prossimi mesi non appena si conosceranno le forme e le regole per la costituzione degli organi locali del nuovo partito all’estero.

giovedì 25 ottobre 2007

Prima uscita pubblica di Michele Emiliano da segretario



Foggia 24 ottobre 2007 - Prima uscita pubblica di Michele Emiliano da segretario regionale del Partito Democratico. Difronte ad una platea da "tutto esaurito" presso la Sala Congressi della Fiera di Foggia, abbiamo visto un Michele Emiliano particolarmente emozionato e commosso dal calore della gente di Capitanata. Il popolo delle primarie della nostra provincia non solo ha risposto con una altissima partecipazione, ma è anche stato quello che in Puglia ha suffragato in maniera maggiore la candidatura di Emiliano, proprio per questo il sindaco di Bari ha deciso di far cominciare la sua avventura da segretario proprio da Foggia. Dopo la presentazione del sindaco di Foggia Orazio Ciliberti e gli interventi di Sabino Colangelo, segretario provinciale dei DS , e di Gaetano Prencipe, segretario provinciale della Margherita, Emiliano ha esordito così: «Non potevo che iniziare da Foggia. Oggettivamente è stato un grande successo di partecipazione che mi ha davvero gratificato. Era giusto iniziare il giro post elettorale e dei ringraziamenti da questa città. Il Partito democratico non è iniziato e finito il 14 ottobre, siamo qui anche per fare politica, fornire indirizzi, cominciare a tradurre il PD nelle amministrazioni». Riguardo al ruolo e al compito del PD ha affermato che «deve essere il punto di riferimento per tutta quella gente che vive nel bisogno», quindi sarà un partito radicato non solo nelle città ma anche nei quartieri, dovrà essere punto di riferimento anche per le piccole questioni quotidiane che riguardano i cittadini, solo se riuscirà a fare questo il partito acquisterà credibilità e fiducia.
«
Dobbiamo costruire una forma di partito capace di farmi vedere attraverso i vostri occhi i problemi del vostro territorio». Bisogna guadagnarsi sul campo la fiducia dei cittadini istaurando con loro dei legami veri, solidi e duraturi. Per Emiliano la scala gerarchica di importanza della attività politica deve mettere al primo posto la gente, i bambini, gli anziani, poi le istituzioni, poi il partito e infine noi stessi. Insomma un vero partito al servizio dei cittadini: «Un partito al servizio della gente che deve cercare di instaurare legami duraturi che non solo facciano vincere una volta le elezioni ma che ci permetta di governare per diversi anni... Fare un partito significa stabilire dei rapporti che durino tutta una vita», e questi rapporti dovranno essere improntati al rispetto reciproco.
Ha anche affermato che tra le sue prime preoccupazioni di questi giorni ci sono quelle relative al nostro Gargano.
Poi Emiliano si è soffermato sul dato elettorale straordinario delle primarie che però non va sciupato: «Tanta gente si è riavvicinata alla politica, circa 270.000 in Puglia, ma bastano dieci parole sbagliate da parte nostra per rimandarle a casa», bisogna avere una grande capacità di ascolto e di rispetto per gli elettori.
Gli appuntamenti delle assemblee nazionale e regionale saranno un momento molto importante, a livello nazionale ci saranno tre commissioni che dovranno lavorare su tre aree: "regole di comportamento individuale", "struttura del partito" e "carta dei principi". Proprio la proposizione di un codice etico del politico per Emiliano è un fatto molto significativo: «Queste regole di comportamento devono essere molto importanti e ben definite», bisogna reintrodurre nella politica lo studio delle cose, spesso c'è una grande buona volontà ma spesso ci si improvvisa e si perde l'approccio scientifico alle cose, bisogna appropriarsi delle conoscenze tecniche ed imporsi il «divieto di strumentalizzare la paura» (riferendosi anche alle vicende baresi della centrale a turbogas). Inoltre il partito non potrà permettersi di «considerare il tempo una variabile indipendente», nell'azione ammnistrativa si dovrà progammare e si dovranno rispettare i tempi che ci si è dati: «il tempo deve essere una discriminante del successo politico». Nell'organizzazione del partito ci si dovrà impegnare su singoli progetti regionali o provinciali dandoci degli obiettivi e si dovrà inserire il "merito" anche all'interno del partito, bisognerà valutare l'impegno delle persone: «ognuno deve avere il ruolo che gli spetta nel partito in base al lavoro che uno ha fatto». Le fasi organizzative del PD pugliese vedranno a Bari, probabilmente il 10 novembre, la convocazione dell'Assemblea Costituente regionale e la struttura del partito con gli organi di partito funzionanti dovrà venir fuori dal Congresso che si terrà poi in primavera.
Nel frattempo si terranno delle strutture temporanee di carattere locale.
Subito si deve «costruire nelle nostre città una serie di luoghi dove dare la possibilità di partecipazione politica al grande popolo delle primarie» come pure è necessario « costituire i gruppi unici del PD nei consigli comunali» come si sta facendo alla Regione.


Dopo la conclusione del suo intervento Emiliano si è trattenuto per salutare tutta la gente presente che gli si è avvicinata per stringergli la mano o dargli un messaggio di incoraggiamento o augurio. Abbiamo avuto l'opportunità di invitare Michele a San Marco, anche se informalmente, e speriamo che prima o poi possa portare un pò di entusiasmo in più anche nella nostra cittadina.
Siamo convinti di avere un grande uomo alla guida del nostro partito regionale, e veramente non potevamo aspettarci una scelta migliore.

Grazie Michele, speriamo di poter lavorare bene insieme per la nostra amata Puglia.

di Paolo Soccio

mercoledì 24 ottobre 2007

Galleria fotografica dell'esordio pubblico di Michele Emiliano a Foggia




Orazio Ciliberti, sindaco di Foggia, Michele Emiliano, sindaco di Bari e neoeletto Segretario Regionale del PD e Sabino Colangelo, ex segretario provinciale DS.

Michele Emiliano prende la parola nella Sala congressi della Fiera di Foggia.






I democratici sammarchesi Paolo Soccio e Loredana Leggieri con Michele Emiliano.

Michele Emiliano a Foggia



Nel video, oltre al neo eletto segretario regionale Michele Emiliano, Orazio Ciliberti (sindaco di Foggia) e Sabino Colangelo (segretario provinciale DS uscente), potete vedere la nostra concittadina Loredana Leggieri , eletta all'Assemblea costitente nazionale, seduta al tavolo di discussione accanto all'Ass. regionale Elena Gentile.

Legge elettorale. Veltroni: sabato avanzerò la mia proposta

- Roma, 24 ott – Parlerà sabato a Milano e solo allora, al di là delle interpretazioni - spesso contraddittorie – che appaiono sui giornali, Walter Veltroni spiegherà, una volta per tutte, le sue posizioni sulle riforme elettorale ed istituzionale. Il leader del Pd lo ha detto questa mattina ai giornalisti presenti in Campidoglio. “Vedo molte interpretazioni su quello che penso, su quello che sto facendo e mi rendo conto che forse si deve ancora prendere la misura con un uomo politico che non ha l'abitudine di partecipare al teatrino quotidiano delle dichiarazioni, delle risposte, delle smentite - ha spiegato Veltroni -. Mi sottraggo a questo e, per sapere cosa penso, bisogna fare riferimento alle cose che dico: sabato a Milano dirò quello che penso sul tema che riguarda le riforme elettorali e istituzionali. Per ora il mio impegno è stato ed è un impegno volto a cercare di ottenere il massimo sostegno all'azione del governo e, dall'altra parte, a cercare un clima che sia il più favorevole possibile al raggiungimento di un dialogo tra le forze politiche. Questo è necessario sia per la riforma elettorale che per quella istituzionale. Del merito parlerò sabato e tutte queste interpretazioni, tra di loro assolutamente contraddittorie, perché poi sui giornali mi si attribuisce una cosa diversa dall'altra. Con me ci si deve abituare, piuttosto che guardare a se stessi e attribuire quello che si pensa agli altri , ad aspettare che si parli nei momenti in cui si può fare un discorso che non sia divorato dalla bulimia comunicativa quotidiana. E' così che si ottengono dei risultati”.

da www.partitodemocratico.it

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