Portale del Circolo del PD di San Marco in Lamis

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giovedì 29 maggio 2008

Verso il partito "solido". Si andrà al tesseramento.

Si era lungamente discusso nei mesi scorsi sul tema del "partito liquido" o "solido". Certamente la questione del "radicamento", posta a più riprese e da più parti, non poteva che passare attraverso una vera campagna di tesseramento. Ormai pare che la direzione intrapresa sia quella e probabilmente il tesseramento del PD inizierà a luglio, dopo l'assemblea costituente del 20 e 21 giugno. Una volta stabilito che bisogna radicare di più il partito, l'equazione "radicamento= tesseramento" è di fatto inevitabile. Ma sarà il "solito" tesseramento, erede delle vecchie organizzazioni partitiche da cui nasce il PD? A detta di Beppe Fioroni (conosciuto come il "Signore delle tessere"), che si occuperà della sua organizzazione, si troveranno le giuste modalità per evitare la possibilità che qualcuno possa "acquistare" grossi pacchetti di tessere e sarà perciò garantita l'effettiva corrispondenza tra la tessera e il tesserato (che dovrà presentarsi in carne ed ossa presso i circoli). Noi, da parte nostra, garantiremo che sarà così.
La tessera del Pd, a quanto si apprende, avrà un costo minimo di 15 euro , ovviamente si potranno anche dare contributi maggiori. A decidere e a gestire questi soldi saranno i segretari regionali.
Il partito si rivolgerà innanzi tutto ai democratici fondatori, ossia quei cittadini che dopo aver partecipato alle primarie del 14 ottobre, hanno ritirato l'attestato di fondatore del PD presso il proprio circolo cittadino nel gennaio scorso (sono circa un milione e duecentomila in tutta Italia). Pare che la prima tessera durerà per tutto il 2009, poi il successivo tesseramento si terrà nei mesi di ottobre e novembre. Non ci resta che attendere le decisioni che l'Assemblea nazionale prenderà a riguardo fra tre settimane.

Paolo Soccio

Giunta Pepe: il Gargano non c'è!

Nasce la prima Giunta provinciale del centrodestra alla Provincia di Foggia e il Gargano è scomparso.
Il Gargano, infatti, è stato un serbatoio di voti in cui il Popolo delle Libertà e il presidente Pepe hanno attinto a piene mani per poi assegnare responsabilità di governo a candidati trombati e sindaci sconfitti.
La forza elettorale del PdL garganico evidentemente sarà utile a costruire sempre più strade in altre zone della provincia che, secondo il centrodestra, hanno la priorità rispetto alle esigenze del più importante distretto turistico dell’intera regione Puglia.
Nei 15 anni di governo del centrosinistra alla Provincia di Foggia non era MAI accaduto che il Gargano non esprimesse assessori nel Governo della Capitanata.
Il centrosinistra, pur se in minoranza, si farà carico di rappresentare comunità e imprese a cui l’intera provincia di Foggia si affida per far viaggiare nel mondo il buon nome della nostra terra.

Questo il commento di Aldo Ragni, responsabile Organizzazione del PD di Capitanata, alle anticipazioni di stampa sulla composizione della nuova Giunta provinciale.
L’esclusione della rappresentanza del Gargano è un dato di fatto, incontrovertibile, di cui prendiamo atto con sorpresa; invitando, in particolare, le imprese del settore turistico a valutarlo con attenzione critica.
E’ opportuno sottolineare che, nei 15 anni di governo del centrosinistra, la comunità Garganica ha ottenuto sempre visibilità e attenzione, com’è doveroso nei confronti di un territorio a cui l’intera Capitanata affida il compito di promuovere il nostro buon nome nel mondo.
Un successo, quello del Gargano –
conclude Ragni – costruito grazie alla vitalità di una classe dirigente, anche politica, oggi emarginata e bocciata dal centrodestra e da Antonio Pepe”.

domenica 25 maggio 2008

“Mobilitazione istituzionale a difesa dell’Authority alimentare”.Mozione parlamentare e ordine del giorno in Consiglio provinciale

“Il Partito Democratico di Capitanata è pronto a compiere ogni atto, politico e istituzionale, necessario a tutelare l’Authority per la sicurezza alimentare: una conquista dell’intero territorio che non può essere vanificata da un Governo già in confusione e pasticcione”.
Il segretario provinciale del PD, Paolo Campo, avvia l’organizzazione di una vera e propria mobilitazione nelle istituzioni locali per scongiurare il rischio del taglio dei fondi, stanziati dal Governo Prodi, necessari all’attivazione e al funzionamento della sede foggiana dell’Autorità per la Sicurezza Alimentare.
Due le azioni in cantiere: una mozione parlamentare e un ordine del giorno da sottoporre al voto del primo Consiglio provinciale. Fu proprio con una mozione dei parlamentari Michele Bordo e Colomba Mongiello che, nel 2006, si riaprì il dibattito romano sull’Authority; “oggi serve un nuovo intervento istituzionale – commentano i parlamentari foggiani del PD – per difendere ciò che noi tutti ritenevamo di avere acquisito, anche al di là delle becere rivendicazioni di primati economici da parte di alcuni deputati leghisti, spalleggiati dal ministro leghista per le Politiche agricole”. Due anni fa, la mozione fu sottoscritta dai deputati e dai senatori pugliesi del centrodestra: “Cercheremo di ottenere lo stesso risultato anche questa volta; puntando, innanzitutto, a verificare il sostegno del ministro Fitto, allora convinto sostenitore della candidatura di Foggia a sede dell’Authority”. “Il PD e l’intero centrosinistra presenteranno un documento analogo, in forma di Ordine del Giorno, all’attenzione del Consiglio provinciale: il primo della nuova consiliatura, che non inizia sotto i migliori auspici – riprende Paolo Campo – A Foggia, il presidente Antonio Pepe non è in grado di comporre un governo per la Capitanata; a Roma, l’onorevole Antonio Pepe è incapace di difendere gli interessi della Provincia di Foggia. D’altronde, era emerso già chiaro il giorno dopo il voto che la Lega e i ministri leghisti infiltrati nel PdL, come Tremonti, avrebbero spostato l’attenzione verso il Nord del Paese”. I testi della mozione e dell’ordine del giorno saranno inviati a tutte le rappresentanze istituzionali locali e regionali del PD, “perché ovunque si solleciti il dibattito e l’approvazione di documenti, il nostro o altri poco importa, che abbiano un comune denominatore: difendere il brillante riconoscimento ottenuto dalla Capitanata grazie alla qualità dei centri di ricerca, delle imprese agricole e agroalimentari e delle istituzioni locali”.

da paolocampo.blogspot.com

venerdì 23 maggio 2008

Paolo Campo: “La Capitanata ha bisogno di buon governo, non di cartelli elettorali”


“Ad un mese dalla fine delle elezioni, il presidente della Provincia non è ancora in grado di comporre la sua Giunta: è solo il primo, disastroso effetto di una strategia elettorale che aveva come unico obiettivo sbarrare la strada al centrosinistra. Il buon governo della Capitanata? Poi si vedrà”. Al termine di una lunga e proficua fase di riflessione e discussione interna agli organismi del Partito Democratico, il segretario provinciale, Paolo Campo, questa mattina ha incontrato i giornalisti per “un commento ragionato sul voto e i prossimi passi da compiere per avviare l’attività istituzionale a Palazzo Dogana e concludere il processo di radicamento del PD”. “Se i dati di fatto contano qualcosa – ha affermato Campo – le elezioni provinciali ci dicono che, anche a Foggia città, il PdL è forza politica minoritaria rispetto al centrosinistra”. I conti sono presto fatti: la coalizione Capitanata viva ha ottenuto 156.228 voti, pari al 43,266%; il PdL e le civiche che sostenevano Antonio Pepe, “riconducibili non a correnti di AN o FI, ma a singoli personaggi”, hanno raggranellato 135.061 voti (37,404%). Al ballottaggio, “pur di vincere hanno dovuto mettere insieme un’alleanza eterogenea, costruita esclusivamente per contrastare il centrosinistra e non per governare. Come ci si può meravigliare che Antonio Pepe non riesca a comporre la Giunta con cui affrontare i problemi complessi, alcuni davvero gravi, che affliggono la nostra provincia?”. Espliciti i riferimenti al sostegno allo sviluppo e all’occupazione giovanile e femminile, alla gestione del ciclo dei rifiuti, alle politiche energetiche: “La Capitanata avrebbe bisogno di tutto questo e di altro ancora – ha continuato Campo – invece, a tutt’oggi, ancora non sappiamo di quali e quante risorse l’Ente dispone; né quale sarà il contributo della Provincia rispetto alla pianificazione strategica di area vasta, la cui fase progettuale è prossima alla conclusione” E’ guardando a questa mole di impegni che “mi permisi di suggerire, non in tono polemico, ad Antonio Pepe di rinunciare al mandato parlamentare per diventare il sindaco della Capitanata: un amministratore vicino ai cittadini e attivo in prima persona sul fronte del fare, che è cosa diversa dal presidente con la fascia che partecipa ad inaugurazioni e premiazioni nel fine settimana”. In vista della riunione del nuovo Consiglio provinciale, convocato giovedì 29 maggio, “si svolgeranno incontri all’interno del gruppo del PD e tra i gruppi del centrosinistra, anche per valutare l’ipotesi di dar vita ad una Giunta-ombra. In queste sedi decideremo quale atteggiamento adottare per l’elezione del presidente dell’Assise: dando per scontato che sarà uno dei consiglieri di maggioranza, ma disponibili ad offrire il nostro contributo per l’individuazione di una figura realmente rappresentativa dell’intero Consiglio”. Sul fronte interno, la Segreteria e l’Assemblea provinciali “mi hanno incoraggiato ad andare avanti con il processo di radicamento territoriale e di apertura alla società”. Sarà accelerata l’apertura dei Circoli cittadini dove ancora mancano e favorita l’apertura di altri Circoli nelle città più grandi, a partire da Foggia; così come saranno attivati i forum tematici. “E’ obiettivo condiviso completare questo processo prima dell’estate per poter affrontare al meglio i primi appuntamenti della fase congressuale e le prossime scadenze elettorali europee e amministrative – ha concluso Paolo Campo – Appuntamenti a cui dovremo arrivare avendo ben chiara una nuova strategia delle alleanze, fondata sui programmi e attenta alle evoluzioni del quadro politico regionale e nazionale”.
da www.tuloconoscipaolo.it

Vincenzo Cerami: Pensieri sul voto, sull'Italia, sul PD

Una premessa veloce: durante la fragilissima legislatura che ha visto Prodi fare i salti mortali per andare avanti, abbiamo toccato il fondo. I dati di gradimento della Sinistra erano bassissimi. Al momento della crisi la differenza tra noi e la destra era di ben 22 punti. Senza il Pd sarebbe stata una catastrofe di proporzioni inimmaginabili. Invece adesso abbiamo un solido trampolino per ripartire con slancio.

Preciso che non parlerò di questioni strettamente politiche ed economiche, perché altri possono farlo meglio di me. Dirò qualcosa che riguarda la comunicazione, a mio parere centrale, oggi più che mai, nella ricerca del consenso. E occuparsi della comunicazione significa tentare di inquadrare la nuova realtà sociale senza pregiudizi. Comunicare significa ascoltare e rispondere, e un dialogo funziona solo se si parla la stessa lingua. Quindi non si tratta di un approccio riduttivo e strumentale del problema.

Le opere buone di un’amministrazione sull’immediato non producono consenso, se non mediaticamente preparate e pubblicizzate. È sotto gli occhi di tutti la scarsa informazione data agli italiani in merito alle cose ottime fatte dal governo Prodi. È passato solo il messaggio dell’aumento delle tasse, e nessuno ha capito il perché del salasso. Non dimentichiamoci che la maggior parte degli italiani è convinta che il debito pubblico sia quello che il nostro paese ha con l’estero. È un dato di fatto che non va né sopravvalutato né sottovalutato. Ma è un dato di fatto.

Come si spiega lo scarso gradimento del governo da parte della maggioranza degli elettori se non con la mancanza di una comunicazione adeguata? Non basta dire che «pagare le tasse è bello», anzi, non bisogna proprio dirlo.

Mentre gli italiani stringevano la cinta, la sinistra non ha fatto altro che parlare di Dico. La comunicazione che ne è venuta fuori è stata dannosa. I tre milioni e mezzo di cittadini che hanno fatto la fila ai gazebo delle primarie erano persone scontente: dimostravano l’assoluto bisogno di un cambiamento perché le cose stavano andando male, i soldi non bastavano a vivere.

Un po’ perché eravamo al governo e un po’ per diffondere ottimismo per un futuro diverso, la campagna elettorale non ha puntato sulla pesante crisi economica e sociale in cui ci troviamo. Il messaggio che è arrivato agli indecisi è che parlavamo d’altro e non dei loro problemi più urgenti. Rutelli stesso, in mancanza di una strategia oculata, non ha potuto che valorizzare il «bello» fatto dalle amministrazioni precedenti, senza poter puntare efficacemente l’indice sul «brutto». In questo momento di crisi e di paura per il futuro, il nostro messaggio è apparso per lo meno divagatorio, e forse anche irridente.

Accanto alle dovute e spietate analisi delle votazioni, reputo fondamentale che ci si chieda come parlare a tutti gli italiani per essere credibili e rassicuranti, al di là dei contenuti del messaggio.

Francamente non pensavo si potessero mettere insieme, sotto lo stesso simbolo, così tante persone dopo il crac del governo e solo a poche settimane dalla nascita del nuovo partito: è vero che il Pd è il più grande partito riformista della storia nazionale, una questione di grande rilevanza e prospettiva per tutte le ragioni che sappiamo.

Abbiamo fatto il pieno degli elettori possibili, ma non è bastato. Quasi due terzi degli italiani sono rimasti sordi alla nostra offerta. Non siamo stati in grado di proporci con autorevolezza. E bisogna pur dire che le precedenti elezioni politiche ci hanno raccontato che per la sinistra è difficile, nella migliore delle ipotesi, andare molto al di là del pareggio. Non sappiamo cosa dire a quella parte della nazione che non vota pregiudizialmente né a destra né a sinistra, bensì a favore di chi placa le sue profonde paure. Sono paure sociali, tangibili, ma, come vedremo, con importanti radici di natura antropologica.

Le ultime elezioni hanno messo in evidenza chiara e netta che l’Italia ha cambiato faccia. La politica se n’è accorta da poco, e nel nostro caso con troppo ritardo, ancorati come siamo a una visione gerarchica e stratificata della società. Abbiamo agito, anche inconsciamente, come se i partiti rappresentassero bisogni e interessi di questo o quello strato sociale. Invece davanti a noi si apre un panorama nuovo e per certi aspetti inquietante: una società fatta non più di persone e culture diverse, ma di una massa indistinta di possibili acquirenti della politica.

Si è inaugurata una nuova epoca, smemorata, mercificata, in cui non si può parlare che di bisogni primari. Non si può più chiedere consensi offrendo valori e principi, come in parte accadeva all’epoca del comunismo e dell’anticomunismo.

La strategia di Berlusconi (e non della destra classica, seppure rivisitata e corretta) parte da questa consapevolezza, che la politica (cioè il potere) altro non è che un prodotto di consumo che si vende con indagini di mercato: ieri il messaggio prendeva di mira il fantasma del comunismo, oggi lo «scellerato» indulto, la pubblica sicurezza e i clandestini (per non dire gli immigrati).
A mio avviso sono fuori strada quei politologi e quei politici che spiegano il comportamento degli elettori con spirito storicistico, come se si trattasse di individui che conservano la memoria del giorno prima. La bandiera nera che sventola sul Campidoglio non rimanda a nulla, non ha alcun rapporto con Mussolini, tranne che con la sua caricaturale immagine di «uomo con le palle», che prende per mano gli italiani assicurando loro un avvenire migliore, anzi, una potenza imperiale.

Nel Nord Bossi occupa lo stesso ruolo. Lassù c’è lui (con i suoi fucili caldi), a Roma un uomo d’ordine, al Sud il potere mafioso di sempre. Questa ossatura politica di sostanza autoritaria è stata scelta dagli italiani. Vuol dire che ne avevano bisogno, che cercano fantomatici garanti e guardiani della loro stabilità e sicurezza.

All’ampia zona magmatica e spersonalizzata della società non sappiamo parlare un linguaggio comprensibile, quello che ci farebbe vincere con la necessaria abbondanza di voti. Per questa gente i valori dell’antifascismo, della Resistenza, del pacifismo, della giustizia, della memoria e della difesa dei deboli non esistono, e là dove persistono si stanno vanificando. Sono italiani schiacciati sul presente, per i quali non valgono nemmeno gli allarmi ambientali perché li percepiscono come una minaccia lontana. Per loro non valgono neanche le prese di posizione della Chiesa quando parlano di principi, piuttosto che di fatti risolutivi dei problemi immediati.
La nuova società italiana è orizzontale, senza più passato e con un futuro lungo appena una settimana. È la società anomica e omologata preconizzata tanti anni fa da Pasolini.

È vero che i due programmi, il nostro e quello della destra, sono molto diversi, soprattutto nello spirito che li informa. Ma è anche vero che non vengono percepiti come alternativi. Ciò che nel senso comune li separa è il tono con cui sono proposti.

Vince l’immagine. Berlusconi si presenta come l’imprenditore vincente, che sa come aggirare ogni ostacolo, anche legale, anche politico, per creare benessere e bella vita. Le sue televisioni, da anni, lanciano questo messaggio, questo modo «vincente» di essere al mondo. La Lega da tempo punta i piedi su due o tre nodi solidi e chiari, dal federalismo al parlamento del Nord, all’epurazione del diverso, tutti miranti al risultato finale della secessione, quindi dell’egoismo. Ma l’egoismo non è più un disvalore, non crea alcuno scrupolo di coscienza. Contro la perdita d’identità provocata dalla globalizzazione, la Lega oppone il forte collante degli interessi e dell’identità locale, e questo le fornisce un’immagine comprensibile e stabile in quelle parti del Nord a cui si rivolge.

Al fondo di tutto c’è la paura, che è totalizzante, accecante, e che nasce da ragioni profonde, non sempre razionalmente decifrabili. I tantissimi italiani che non ci votano vivono giorno dopo giorno nell’incertezza, sia vitale che psicologica. E di conseguenza si chiudono in confini sempre più stretti, abbandonando ogni legame con il resto del mondo. Non dobbiamo, in quanto politici, scandalizzarci per questo. Faremmo peggio a negare l’evidenza, a conservare la retorica del popolo che ha sempre ragione. Il popolo non esiste più, ha cominciato a non esistere già nei primi anni Sessanta, quando il benessere ha cancellato tutto, a iniziare dal rapporto antagonistico con la natura matrigna. Conseguenza della vecchia, morente «filosofia della vita» è la decadenza della pedagogia, e del sapere.

La società di massa in cui oggi viviamo è, come direbbero i linguisti, sincronica, non cronologica né piramidale. Quelle che un tempo erano fasce sociali (con tanto di culture che le qualificavano) sono soltanto categorie economiche. «Io sono migliore di te non perché ho una cultura più forte e più prestigiosa, ma perché guadagno di più».

Di qui la terribile crisi del rapporto tra scolaro e docente (lo studente è in genere più ricco dell’insegnante) e la nevrosi degli strati più deboli, che non sono più sorretti dalla cultura della povertà, ma dipendono dalla mitologia dell’apparire in un mondo che li cancella. I poveri del neorealismo erano allegri, quelli di oggi no. La perdita dell’allegria non è meno grave della perdita dei posti di lavoro.

Lo spaesamento del cittadino, senz’altro incoraggiato dalla globalizzazione, è ormai una sorta di categoria dello spirito, è parte costituente della nostra vita. E questo non ci fa mai stare tranquilli, perché vivere senza certezze crea insopportabili ansie, insopportabili paure.

Con la nascita della società del benessere la stessa famiglia ha cominciato a traballare nei suoi valori tradizionali, vuoi per colpa della fine della pedagogia, vuoi per la mutazione della figura femminile, vuoi per il decisivo ruolo dell’eros. Per millenni l’amore coniugale non è esistito, quindi l’eros non è stato mai determinante per il suo formarsi. Oggi invece, fortunatamente, ci si sposa per amore: l’eros crea una famiglia, ma può anche distruggerla. I dati che ci raccontano la poca durata dei matrimoni sono impressionanti. È proprio l’eros a procurare, indirettamente, problemi alla Chiesa. Quando l’amore non era determinante per la nascita della famiglia, non era fonte di problemi.

La società di oggi pone conflitti e bisogni inediti, sconosciuti per secoli, e che si intrecciano con la ben giustificata paura della povertà.

Sul timore di galleggiare nel presente, senza uno zodiaco di riferimento, la destra ha basato la sua strategia del consenso. A chi l’ha votata non interessa nulla della guerra in Iraq, della desertificazione del pianeta, del funzionamento della giustizia, delle condizioni di vita dell’immigrato, di ciò che accade fuori di casa propria; capisce l’abolizione dell’Ici e del bollo auto perché ne vede subito il vantaggio concreto. Su questi problemi sente di esistere, il resto è aria fritta, non lo riguarda.

Sotto tale luce si interpreta la forte attrazione per la Lega da parte dei cittadini del Nord (operai compresi, dimentichi ormai del sacrificio e delle conquiste dei loro padri). Bossi e compagni non parlano che di soldi del Nord che vanno a nutrire il Sud parassita. Radicamento nel territorio e schei, tutta qua l’ideologia di Bossi, comprensibilmente attraente.

Non si prenda come atteggiamento sprezzante o riduttivo questo mio giudizio. Non esito ad affermare che chi ci ha votato sono persone che mi piacciono di più. È ovvio che l’elettore scelga il partito che promette benessere e che gli può rendere la vita facile. Ma non è questo il problema: nell’anomia in cui agisce, non può esercitare nessuna vocazione altruistica. E io penso che il cuore della nostra politica, ciò che informa la sua azione, sia il valore dell’altruismo.

Quindi la politica viene umiliata e fuorviata non solo dai politici mediocri, ma dalla stessa società che le impedisce di funzionare come dovrebbe. In due parole, si dimostra ancora una volta che la politica è figlia della cultura e non viceversa.

Noi risultiamo vaghi, appariamo come troppo democratici, labili e deboli di fronte alle urgenze immediate e alle minacce che ogni giorno aggrediscono i cittadini. Parliamo di riforme istituzionali, ma una buona parte degli italiani non sa nemmeno com’è fatto il Parlamento. Per loro, votare significa scegliere a chi dare il potere tout court. E lo danno a chi promette di placare le paure, a chi in quel momento ha immagine carismatica.

La storia italiana ci ha portato fin qui, fino a creare un ammasso mucillaginoso di persone incolpevoli, diventate «gente». I nostri elettori sono relativamente pochi, appena un terzo dell’intero corpo: provenendo da tradizioni di solidarietà e di equità, non sono sordi alle istanze del riformismo. Gli altri due terzi circa sono consumatori di politica. E non affermo questo polemicamente, né moralisticamente. Anzi, lo affermo con dolore, perché una società così non mi piace. Non dovrebbe meravigliare nessuno che gran parte di noi non custodisca una cultura filantropica. Lo stesso umanesimo cristiano ha subito colpi mortali dalla «rivoluzione antropologica» così dolorosamente e rabbiosamente descritta da Pasolini.

Nelle piazze affollate Veltroni ha parlato a italiani che non sono rimasti indifferenti ai richiami alti della democrazia e del suo funzionamento. Sono più di quanto si poteva immaginare, ma meno di quelli che servono per cambiare il nostro paese, com’è necessario. Veltroni ha giustamente parlato di bellezza, di futuro, di grandi potenzialità del nostro genio, di giovani che devono uscire dalla precarietà e di funzionamento dello Stato con tono appassionato e ottimista: ha dato di sé un’immagine vincente, ma che non ha avuto il tempo di radicarsi nel common sense degli italiani. Non ha giocato sulla paura, non ha demagogicamente insistito sul tema della sicurezza.

Tutto molto giusto, perché guai se in Italia non ci fosse una voce come la sua, preoccupata ma positiva, realistica e rispettosa dei grandi valori civili.

Ma tanti italiani vanno a votare nell’illusione che il nuovo governo scacci le paure. In assenza di senso civico, queste paure sono «strettamente personali». La questione centrale delle riforme elettorali e istituzionali li sfiora appena e non ne capiscono appieno il senso. Che oggi ci siano meno partiti di ieri, al contrario di quanto pensiamo, non interessa più di tanto. La poca e confusa idea della politica viene loro dalla nostra volgare televisione.

Quando la politica discute di globalizzazione, lo fa soprattutto in chiave economica, come se non influenzasse pesantemente anche i comportamenti e i bisogni spirituali dei cittadini. L’esproprio della personalità individuale, dell’identità irripetibile di ogni persona, del suo rapporto culturale con il territorio, produce horror vacui, smarrimento, «crisi della presenza», come direbbe Ernesto De Martino. In una parola, crea paura.

L’enfatizzazione del problema dell’insicurezza è dovuta proprio alla paura di non esistere in quanto individui distinti dagli altri e dalla massa globalizzata.

Berlusconi, che è entrato in politica senza avere una cultura politica, è riuscito a parlare meglio degli altri a questa massa che vive solo orizzontalmente e nell’immediato. Si è rivolto a loro senza amore, come il mercante che cerca consumatori. Il suo approccio con gli elettori è il frutto di una puntigliosa indagine di mercato, di un mercato dai grandissimi numeri. La reificazione della politica è possibile solo in assenza del valore identitario della società. La merce che l’elettore acquista si misura in sicurezza. Il suo bisogno di identità gli fa scegliere chi offre una soluzione al suo senso d’inappartenenza, di debolezza psicologica e d’incertezza per il futuro. Gli fa scegliere chi gli offre con voce convinta e muscolare una cittadinanza, un’enciclopedia di valori tranquillizzanti e la sicurezza economica in attesa della ricchezza.

Il successo della Lega si spiega soprattutto in questo senso. La reazione alla paura di affogare nel nulla ha trovato terreno adatto nell’offerta di un’area locale dove specchiarsi e riconoscersi.

Parte di quegli elettori sceglieranno noi solo se la destra li spaventerà e noi li tranquillizzeremo. Ormai per loro, come per gli operai che hanno deciso di votare a favore di avversari storici come gli ex fascisti, non esistono più istanze ideologiche né etiche capaci di dettare un comportamento. La paura ha spinto molti a chiudersi in una casa metaforica e a non vedere cosa succede intorno. Non sanno più capire che la condizione necessaria al loro benessere è il benessere di tutti.

Per chi fa politica questo è desolante, perché non si può parlare a chi non può sentire. E chi fa politica sa anche che a decidere i comportamenti non sono né le leggi né gli insegnamenti, ma il mondo che cambia e va per proprio conto. Il politico deve prendere atto della realtà e agire per il bene anche di chi non sa niente.

La profonda crisi della sinistra radicale, al di là delle contingenze elettorali, ci dice che non ha alcun senso la Storia. Il mondo non è più diviso in classi a cui tradizionalmente corrispondeva un partito politico. La realtà sociale è la notte dove le vacche sono tutte nere. Le minoranze non hanno chi le rappresenta perché esse stesse non si riconoscono tali.

Man mano che ci avviciniamo alla politica non più rappresentata dai simboli ma incarnata in un leader, si rende indispensabile una ricerca del consenso legata alla figura del premier. Berlusconi, uomo di marketing, l’ha capito prima degli altri. La sua corporate identity lo ingessa nell’immagine di imprenditore di successo che s’è fatto da solo, spiritoso, disincantato, gioviale, sorridente, raccontatore di barzellette, uomo di Stato disinvolto e demistificatore dei cerimoniali. Egli non può ingrassare, non può incanutirsi o perdere i capelli, non può sbiadire con l’età. La sua facciata di premier vincente che si fa beffa dei vuoti cerimoniali dei professionisti della politica, lo propone come personaggio umano, un po’ buffo, protagonista di una simpatica commedia. Ma anche congelato nella sua stessa icona.

La sua strategia politica è affidata a uomini di marketing, che lavorano per imporre agli italiani un’immagine edificante del leader. Fini ha capito che oggi non esistono più le identità e si è adeguato, si è nascosto dietro il carisma del premier. Ha lasciato le bandiere agli inutili nostalgici. Ha compreso che il passato è morto, e che a vincere nella politica di oggi è un bel ritratto del capo. È così negli Stati Uniti, in Spagna, in Francia, dove chi vince la sfida televisiva ha il premio più grosso. Dietro ogni campagna elettorale si muove uno staff di specialisti.

Torniamo a noi, usciti da due sconfitte pesanti come le elezioni politiche e quelle del Comune di Roma.
Il prestigio dell’ex sindaco Rutelli, a cui gli storici della città riconoscono meriti straordinari, non è bastato a convincere i cittadini. Quindi la sua scelta è stata un errore di comunicazione. Riproporre Rutelli come sindaco (sicuramente il migliore possibile per la felice esperienza già fatta) mi è tuttavia subito apparso un errore evidente. Primo, perché in contraddizione con il dettato innovatore del Pd; e poi perché egli si è fatalmente sforzato nella difficile impresa di difendere Roma da chi era legittimato a elencarne i mali. Rutelli non poteva che esaltare l’operato suo e del sindaco Veltroni durante le amministrazioni precedenti, facendo il gioco dell’avversario, il quale, paragonando Roma a una suburra infetta e violenta, rinfocolava la rabbia e la paura degli scontenti. Senza contare che al cittadino viene spontaneo puntare su un sindaco nuovo quando l’altro è già stato sperimentato e apprezzato.

E bisogna pur riconoscere che molti cittadini hanno visto perpetuarsi nella scelta di Rutelli il vezzo di decisioni prese per un’esigenza di equilibri interni al Palazzo.

Il Pd deve al più presto trovare lo smalto della novità e non riproporre la politica come scannatoio. E se ancora non si può fare altrimenti, ci si scanni almeno in segreto. Quanto male ci ha fatto la litigiosità del nostro governo!

Questo poco edificante ritratto della situazione ci dice che bisogna studiare i modi migliori per comunicare con efficacia i nostri progetti. Stare all’opposizione, per lo meno, aiuta a creare di noi l’immagine di una forte e costruttiva alternativa alla destra. Bisogna farlo da subito, denunciando tutti i mali prodotti dall’avversario e proponendo le nostre soluzioni. Non solo, ma si deve essere presenti con un nostro parere anche su questioni non immediatamente politiche, cosicché la nostra voce, nel tempo, diventi un punto di riferimento sicuro per gli scontenti.

Gli argomenti di certo non ci mancheranno. Ma la questione rimane sempre la stessa: non bastano gli argomenti, sono altrettanto fondamentali i modi con i quali lanciamo i nostri messaggi. È evidente che con la voce del leader si esprime tutto il partito. Tutti possiamo e dobbiamo dare i nostri pareri, anche in pubblico, ma l’ultima parola spetta al leader, che fa la sintesi ed esprime in due parole le prese di posizione del Pd.

In buona sostanza, è necessario uno staff di comunicatori che forniscano dati e sondaggi al partito ed elaborino la forma dei messaggi su indicazioni politiche precise. Partiamo dal principio che è sempre più forte la voce di chi attacca rispetto a quella di chi si difende.

Non dimentichiamo che nell’ultima campagna elettorale Veltroni ha entusiasmato circa un milione di persone che hanno riempito le piazze, ma ricordiamo anche che gli elettori erano più di 40 milioni. Malgrado questo, il risultato ottenuto è grande e significativo. Bisogna rivolgersi ai grandi numeri, e di conseguenza semplificare e teatralizzare i messaggi, che devono avere una loro «universalità». Non dobbiamo disdegnare l’idea di considerare l’elettorato come un grande numero di persone che hanno rotto le righe. Ogni alternativa a questo «modo di parlare» è solo demagogia, buoni, quanto vuoti, sentimenti.

Bisogna essere tutti solidali sotto il grande manifesto di Veltroni, legittimato dalle primarie a essere voce di tutti noi. È giustissimo aver scelto la strada del radicamento attraverso l’iscrizione al partito, ma è altrettanto indispensabile portare a termine il rinnovamento politico promesso. È bene da un lato alimentare il dibattito interno e dall’altro non tornare alla logica devastante dei gruppi di potere. I tentativi, in questo momento, di un ripensamento o di un cambio della guardia confonderebbero e scoraggerebbero anche lo zoccolo duro dei nostri elettori.

Queste mie riflessioni vogliono suggerire un lavoro che a mio avviso il Pd deve fare. Esse vogliono porre al centro della nostra attenzione l’importanza della voce che dobbiamo scegliere quando parliamo, la voce forte dei nostri valori. Dobbiamo essere in grado di restituire valore ai valori creando serenità e sicurezza, e per farlo è bene sapere che non basta dire le cose: è necessario scegliere la strada giusta per dirle.

Occuparsi seriamente della comunicazione comporta come conseguenza un forte ridimensionamento dei «caminetti». Significa uscire dal palazzo e scendere tra gli italiani. E questa è sicuramente l’immagine più originale e luminosa che il Pd può dare di sé.

Vincenzo Cerami

da www.partitodemocratico.it

mercoledì 21 maggio 2008

Riunione Coordinamento per giovedì 22 maggio

Per giovedì 22 maggio, alle ore 19.30, presso la sede del Circolo di via Garibaldi, è convocato il Coordinamento territoriale del PD di San Marco in Lamis.
Si discuterà del seguente O.D.G. :
1- Relazione da parte del segretario sulle assemblee provinciali tenutesi nei gg. 12 e 19 maggio;
2- Analisi politica riguardante l'amministrazione comunale;
3- Organizzazione attività politiche per i prossimi mesi.

I membri tutti del Coordinamento sono pregati di non mancare e di essere puntuali.

domenica 18 maggio 2008

Aggiornamento Assemblea provinciale del PD

L'Assemblea provinciale del PD di Capitanata, già convocata il 12 maggio, è stata aggiornata, su proposta del segretario provinciale Paolo Campo, per lunedì 19 maggio, ore 17,30, per proseguire la discussione già iniziata, sul medesimo O.d.g., sempre presso la Biblioteca Provinciale in Viale Michelangelo, 2 a Foggia.
I delegati sammarchesi sono pregati di non mancare.

mercoledì 14 maggio 2008

Il discorso di Veltroni alla Camera

Giorno della fiducia al nuovo Governo e primo discorso alla Camera del segretario del PD, Walter Veltroni.
Un discorso iniziato citando le pagine di Piero Calamandrei, uno dei padri fondatori della nostra Costituzione: “Il regime parlamentare non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza. Quest'ultima, a sua volta, deve avere rispetto per la legittimità elettorale della maggioranza e la legittimità costituzionale del Governo”. Veltroni ha ricordato come il diritto dell'opposizione e il rispetto della legittimità della maggioranza sono “l'anima di una democrazia che funzioni Questo Parlamento, nel Novecento, ha conosciuto tragicamente un tempo in cui veniva negato il diritto di opporsi. Da allora, al prezzo di sacrifici e di dolore, il nostro Paese ha fatto davvero molta strada e in questi mesi credo abbia accelerato la sua corsa verso la possibilità di essere una salda e ben funzionante democrazia europea”.

Una politica più semplice. “Rivendico al Partito Democratico il merito di aver introdotto ragioni profonde di discontinuità, rispetto ad un Paese che soffriva di una duplice e grave malattia: l'esasperata frammentazione politica e la costante demonizzazione dell'avversario. Abbiamo fatto politicamente ciò che, attraverso le riforme istituzionali e la legge elettorale, non siete riusciti a fare. Se oggi questo Parlamento vede sei gruppi, come nel resto d'Europa, e non più i quattordici dell'ultima legislatura, e non più i trentanove partiti ai quali ha fatto riferimento ieri l'onorevole Fassino, se sono finite le coalizioni assembleari messe insieme solo dalla contrapposizione nei confronti dell'avversario, ciò - lo hanno riconosciuto tutti - è perché il Partito Democratico ha avuto per primo il coraggio di compiere scelte difficili e innovative”.

In Berlusconi manca un disegno alto e forte di cambiamento. Veltroni si è rivolto al Presidente del Consiglio dei ministri ricordandogli che sta inziando il suo quarto mandato e il suo settimo anno da Presidente del Consiglio dei ministri. “È evidente ed oggettivo che lei porti una parte importante di responsabilità per ciò che è avvenuto o non è avvenuto in questo Paese. Da quindici anni, i Governi in Italia durano al massimo una legislatura e un clima permanente di scontro ideologico ha impedito che si potesse generare quella stagione lunga di riformismo e di modernizzazione di cui l'Italia ha bisogno e che altri Paesi hanno conosciuto. Questo Governo ha una maggioranza parlamentare forte, come è già successo tra il 2001 e il 2006. Tuttavia, ciò non impedì che in quel tempo vi fossero ventiquattro ministri sostituiti, un centinaio di volte in cui il Governo «andò sotto» nelle aule parlamentari e una crisi di Governo a metà mandato. Infatti, conta la forza parlamentare, ma conta di più la forza politica, l'esistenza di un disegno alto e forte di Governo e di cambiamento del Paese. Non ho trovato questo disegno nel pur positivo discorso di ieri.
Veltroni ha ammonito la maggioranza ad avere equilibrio: “Non pensate di avere «il Paese in mano», come qualcuno ha detto. Cito un solo dato, non oppugnabile: avete avuto 17 milioni di voti, pari al 46,8%, ma non hanno votato per voi (hanno votato per altro) 19 milioni e mezzo di italiani, pari al 53,2%.

Il dialogo e il ruolo dell’opposizione. “Chi vuole male all'Italia può lamentarsene, mosso dalla voglia di proseguire in un clima di scontro frontale che ha fatto male al nostro Paese per molti anni. Tuttavia, una cosa dev'essere chiara, signor Presidente del Consiglio dei ministri: le parole dette e quelle non dette contano, ma per essere sinceri rischia di essere troppo facile, quando si è all'opposizione o in campagna elettorale, usare toni esasperati e poi, quando si è al Governo, sollecitare il dialogo e il confronto. Tuttavia, prendo per buone le sue parole, pronunciate davanti agli italiani, e le ribadisco che mai si potrà aspettare da noi un'opposizione come quella che, nella scorsa legislatura, sventolava striscioni e brindava nelle aule parlamentari”. Il segretario del Parttio Democratico ha tratteggiato un’opposizione seria, forte e responsabile: “L'opposizione di una forza democratica alternativa; un'opposizione che avanzerà proposte, fisserà una propria agenda di priorità, convergerà quando sarà d'accordo e si opporrà quando non lo sarà; un'opposizione democratica che avrà nel Governo ombra una struttura fondamentale di iniziativa e di proposta; l'opposizione democratica di un Paese unito; quell'unità che il Presidente della Repubblica Napolitano ha più volte indicato come necessità della vita nazionale.”

Il dialogo tra le opposizioni, la difesa di Di Pietro. Veltroni ha ricordato che l'opposizione è costituita in questo Parlamento da diverse forze con le quali si ripropone un cammino di dialogo e di convergenza. Poi è intervenuto a proposito dei fischi all’intervento di Antonio Di Pietro: “Voglio dire a noi tutti che dobbiamo abituarci anche ad ascoltare parole e opinioni che non condividiamo, ma ad ascoltarle con il rispetto che si deve a ciascuno in un'aula parlamentare. Lo dico a proposito dell'intervento dell'onorevole Di Pietro. Ma ci sono anche forze di opposizione presenti nel Paese ma non in Parlamento, la cui voce è interesse comune: non smettano di dialogare e di pesare nella vita istituzionale e politica”.

Le prime riforme da fare. Il leader del partito Democratico ha indicato le prime misure da approvare per approvare misure che velocizzino la macchina decisionale dello Stato: la riduzione del numero dei parlamentari, l'idea di una Camera legislativa e una delle regioni, una forte riduzione dei costi della politica e più ampie e necessarie garanzie di autonomia e libertà di informazione, a partire della necessaria indipendenza del servizio pubblico televisivo. “È qui che vedremo subito se il dialogo sarà vero e genererà decisioni condivise – ha detto Veltroni - C'è il pacchetto di proposte già esaminate dalla Commissione presieduta nella scorsa legislatura dall'onorevole Luciano Violante dal quale siamo pronti a ripartire. Allo stesso modo la invitiamo a portare subito in Parlamento la ratifica del Trattato di Lisbona, che costituisce un atto fondamentale per ogni Stato europeo che abbia a cuore il destino sociale e istituzionale dell'Unione”.

I grandi temi sociali. “Questo Paese ha bisogno di un grande cambiamento, è divorato dall'ansia, dall'insicurezza, dalla paura: sono certo ottimi materiali sui quali si può - e lo si è fatto - costruire l'edificio di una vittoria elettorale”. Poi ha citato il presidente statunitense Roosevelt nell’anno della grande depressione: “L'unica cosa di cui dobbiamo aver paura, è la paura stessa» Ci vuole poco a dire che si cancelleranno tutte le tasse, si espelleranno tutti gli immigrati, si garantirà la sicurezza di tutti, così come è facile, certi ideologismi di destra e di sinistra lo fanno sistematicamente, affermare che sia giusta ogni innovazione, purché sia lontana da sé. L'ideologia del guscio, l'illusione che il mio luogo sia al riparo e possa astrarsi dal luogo di tutti, l'illusione che la mia vita sia separabile da quella degli altri, l'idea in sostanza di una società socialmente egoista con il fiato corto, convinta che la soluzione di ogni problema sia la sua semplice rimozione alla vista: il tema della sicurezza parla di questo”. In segretario del Partito Democratico cita i dati sugli immigrati che lavorano: “Costituiscono il 6 per cento (qualcuno sostiene di più) del PIL del nostro Paese. L'economia e la società italiana hanno bisogno di loro; sono persone che fuggono dalla miseria, non diverse dagli italiani che attraversarono il mondo con la valigia di cartone in mano. Dobbiamo accogliere chi vuole venire a lavorare e rendere più facile che ciò accada. Lo ha detto ieri Giuseppe Pisanu: «L'unica strategia efficace di lotta all'immigrazione clandestina è l'uso intelligente dell'immigrazione regolare» Un passaggio applaudito dai deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori.

La sicurezza. “Dobbiamo essere assolutamente severi contro ogni forma di criminalità; dobbiamo espellere senza riserve chi mostra pericolosità sociale; dobbiamo far scontare le pene a chi ha violato la sicurezza di un cittadino innocente, in primo luogo con severità a chi distrugge la vita di un bambino o a chi considera il corpo di una donna come oggetto di propria proprietà. Ma attenzione alla caccia all'immigrato, attenzione alle ronde, attenzione alla logica che ai più forti sia consentito stabilire se ci si possa rifiutare o meno di offrire una sigaretta – il riferimento è alla barbara uccisione di Nicola Tommasoli a Verona - o di portare i capelli in un certo modo. Chi come me è convinto della giustezza del «pacchetto sicurezza» presentato dal Governo Prodi e dal Ministro Amato nella scorsa legislatura ed è convinto - e lo ha detto - che il vecchio centrosinistra abbia compiuto un errore enorme a non approvarlo, sottovalutando il diritto di ogni cittadino a vivere tranquillo, chi come me pensa questo sente però bisogno che non si smarriscano mai quei valori di inclusione, di attenzione a chi vive nel disagio, di coscienza dei diritti che sono parte della nostra stessa identità di cittadini europei.

I problemi economici. Il salario medio lordo italiano è il ventitreesimo dei Paesi OCSE e cresce la differenza con le altre nazioni. Più di ottocentomila persone lavorano in condizioni precarie con meno di ottomila euro all'anno; sei milioni e mezzo di pensionati percepiscono 550 euro al mese e tre milioni sono tra gli 800 e i 1.200 euro. Veltroni si èr vilto direttamente a Berlusconi: “Nel 2006, secondo l'ISTAT, alla fine del suo mandato pieno, gli individui poveri erano quasi otto milioni e più di una famiglia su dieci oggi vive al di sotto della soglia di povertà. Quasi la metà della nostra popolazione in età adulta ha la licenza di scuola media inferiore. L'Italia è un grande Paese, ma ha grandissimi problemi. La cultura dei «no», i vizi ideologici hanno impedito l'innovazione infrastrutturale e tecnologica e tanti conservatorismi di destra e di sinistra hanno frenato la costruzione di mercati aperti, di liberalizzazioni, di nuove competitività, di valorizzazione del merito e del talento, di nuove frontiere di equità sociale, di nuove scelte ambientali.

L’omaggio a Prodi. “Romano Prodi, come nel 1996, ha avuto, ancora una volta, il merito di risanare la situazione finanziaria del Paese ed io voglio, ancora una volta, dargliene atto, in quest'aula, oggi. Lo dice la rimozione della procedura di infrazione europea e lo dicono i dati, confermati da Bankitalia, di una forte capacità di contrastare l'evasione fiscale incrementando le entrate; lo dice la riduzione del debito e quella del deficit, come ricordato ieri da Pier Luigi Bersani.

Il riformismo moderno. “E’ possibile ridurre come noi auspichiamo e sosterremo la pressione fiscale e garantire misure per aiutare gli stipendi, i salari e le pensioni più basse che sono la vera urgenza di questo Paese. C'è solo un modo per liberare risorse: continuare la lotta all'evasione, ridurre la spesa pubblica, semplificare questo Paese lento e con ancora elevati gradi di corruzione della vita pubblica e di influenza dei poteri criminali. È il riformismo moderno, almeno come noi lo intendiamo: non possiamo e non dobbiamo chiedere a lei di assolvere questo compito.

Contro il Governo, attenti all’Italia. Veltroni ha concluso così la dichiarazione di voto del PD: “Voteremo contro il suo Governo, ma convergeremo su ogni scelta che vada nella direzione giusta: quella di un'Italia più equa, più moderna e più sicura. L'opposizione la si fa pensando agli interessi profondi del Paese, pensando al futuro dei nostri ragazzi, alla fatica ed al talento di chi lavora ed intraprende, ai timori dei nostri anziani. La si fa mossi non dalla volontà di mostrare i muscoli, ma di mostrare l'intelligenza ed il senso di responsabilità. L'Italia giudicherà, nei prossimi mesi, chi avrà assolto al compito che qui ha preso. Noi, per parte nostra, lo faremo da forza alternativa, con coraggio, apertura e convinzione”.

domenica 11 maggio 2008

Assemblea provinciale

Domani, lunedì 12 maggio, alle ore 16,30, presso la Biblioteca provinciale di Foggia, è convocata l'Assemblea provinciale del Partito democratico per discutere il seguente O.D.G.:
- Esame del voto nazionale e provinciale del 13 e 14 aprile e l'iniziativa del PD nella nuova situazione politica.
Relatore: Paolo Campo.

I delegati provinciali sono pregati di non mancare.

Video sui 30 anni dalla morte di Aldo Moro

Se ci fosse luce sarebbe bellissimo

9/5/2008 - 30 anni dalla morte di Aldo Moro e prima giornata della memoria delle vittime del terrorismo









www.democratica.tv

Sanità: lettera di Dino Marino al presidente Vendola e all'assessore Tedesco

Lettera aperta di Dino Marino (PD) al presidente Vendola e all'assessore Tedesco: "E' in atto un assalto al patrimonio sanitario della Asl di Foggia". Una lettera aperta del presidente della commissione consiliare Sanità, Dino Marino, al presidente Vendola e all'assessore alle Politiche della Salute, Alberto Tedesco sulla delibera n. 1214 del 28/04/2008 avente come oggetto "l'approvazione proposta di dotazione organica della Asl Foggia ai sensi del regolamento regionale 30/03/2007, n.9"

"Grazie alla trasparente iniziativa della visione on line delle delibere approvate dal Commissario straordinario della Asl Foggia, si è presa visione, non senza sgomento, della delibera n. 1214.
La realtà dell'ex Asl di San Severo, dove insiste il più grande presidio ospedaliero provinciale, ne esce fortemente penalizzata come dopo una severa cura dimagrante, affatto funzionale: perdita di risorse umane, danneggiamenti vari di servizi e strutture senza alcun criterio tecnico ed organizzativo.
Infatti, la delibera in oggetto prevede una riduzione del personale per lo stabilimento ospedaliero di San Severo di 59 unità, per quello di Torremaggiore di 8 e per quello di San Marco in Lamis di 16, mentre per il Distretto socio-sanitario di San Severo si prevede una riduzione del personale pari a 35 unità, per quello di San Marco in Lamis di 2 e per quello di Vico del Gargano di 18.
È da rilevare, senza per il momento fare ricorso ad un'analitica digressione su reparti e servizi, che tale manovra non poggia su alcun fondamento di norma e raziocinio.
Infatti, non vi è alcuna valutazione dei carichi di lavoro esistenti in ambito alle attività di presidio, così da poter offrire le risorse necessarie corrispettive alle richieste dell'utenza.
Non si capisce il perché di questo provvedimento che riguarderà l'organizzazione del lavoro: sembra che venga assunto senza tener conto del fatto che siamo alla vigilia dell'approvazione del Piano della Salute. Piano che, recependo le discussioni e i risultati della concertazione avvenuta in preparazione del documento stesso, attribuisce alla medicina del territorio una valenza strategica per il futuro delle politiche sanitarie, come tutti quelli che operano nella sanità dovrebbero ben sapere. La delibera, invece, taglia 75 posti nei presidi sanitari territoriali e 82 posti solo negli ospedali della ex Asl di San Severo.
È appena il caso di ricordare come la logica di una traduzione unica del territorio provinciale ha trovato, in un recente passato, la speranza di una sanità unica economicamente flessibile, condivisa e progettualmente valida.
Devo registrare che tali intenti si sono tradotti in un 'assalto' al patrimonio sanitario di questo territorio, senza alcuna logica di interpretazione e in assenza dei presupposti e delle necessarie convergenze delle figure tecniche sul piano di un'offerta negoziata e condivisa delle necessità sanitarie e di un piano sanitario locale che fosse 'illuminante'.
Una scelta organizzativa unilaterale ed adottata senza alcun interpello della realtà sanitaria locale.
Con la presente si chiede un'attenta analisi e revisione della delibera citata con adozione di procedure tecniche nel rispetto dei carichi di lavoro delle dotazioni dei posti letto, dei servizi, degli ambulatori esistenti e delle necessità sanitarie emergenti dalle richieste dei cittadini.
Per quanto riguarda gli 'sprechi' vi è ben altro da eliminare e lo scrivente li segnalerà puntualmente".

da www.garganopress.net

Il nuovo Coordinamento nazionale del Pd

Coordinamento ed Esecutivo

Per raccordare pienamente tra loro le iniziative del governo ombra e le attività di partito, il segretario si avvarrà di un Coordinamento composto da Pierluigi Bersani (Economia), Piero Fassino (Esteri), Enrico Letta (Welfare), nonché dal Vicesegretario Dario Franceschini, dal Coordinatore della Fase Costituente Goffredo Bettini, dai Capigruppo di Camera e Senato Anna Finocchiaro e Antonello Soro, nonchè da Giuseppe Fioroni e Paolo Gentiloni che assumono rispettivamente gli incarichi di Coordinatore dell’Area Organizzazione e dell’Area Comunicazione.
Alle riunioni del Coordinamento potranno essere invitati di volta in volta singoli componenti il governo ombra o dirigenti di partito per le materie di loro competenza.
La costituzione del governo ombra comporterà la cessazione degli incarichi dell’Esecutivo del PD relativi a materie corrispondenti a quelle di competenza dei diversi ministri, mentre vengono confermati gli incarichi relativi a funzioni di partito e più precisamente i Dirigenti Organizzativo Andrea Orlando, Formazione Anna Maria Parente, Relazioni Internazionali Lapo Pistelli.
Giorgio Tonini coordinerà l’Area Studi Ricerca Formazione.
Queste decisioni, unitamente a quelle relative al completamento degli incarichi esecutivi di partito, verranno comunicate, in base all’art. 7 dello Statuto, dal Segretario Nazionale alla prossima Direzione convocata per il 16 maggio 2008.

Il governo ombra. Ministri e incarichi.

Lista Ministri Governo Ombra Partito Democratico

Affari Esteri e Italiani nel mondo
Piero Fassino
Interno
Marco Minniti
Giustizia
Lanfranco Tenaglia
Economia e Finanze
Pierluigi Bersani
Istruzione Università e Ricerca
Maria Pia Garavaglia
Sviluppo Economico
Matteo Colaninno
Lavoro Salute e Politiche sociali
Enrico Letta
Difesa
Roberta Pinotti
Politiche Agricole e Forestali
Alfonso Andria
Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare
Ermete Realacci
Infrastrutture e Trasporti
Andrea Martella
Beni e Attività Culturali
Vincenzo Cerami
Comunicazione
Giovanna Melandri
Riforme per il Federalismo
Sergio Chiamparino
Rapporti con le Regioni
Mariangela Bastico
Pubblica amministrazione e Innovazione
Linda Lanzillotta
Pari opportunità
Vittoria Franco
Semplificazione Normativa
Beatrice Magnolfi
Politiche Comunitarie
Maria Paola Merloni
Attuazione del Programma
Michele Ventura
Politiche per i Giovani
Pina Picierno

Il Segretario del Partito Democratico
Walter Veltroni presiede il Governo ombra. Ne fanno altresì parte il Vicesegretario Dario Franceschini e i Capigruppo di Camera e Senato Antonello Soro e Anna Finocchiaro.
Enrico Morando e Riccardo Franco Levi svolgeranno rispettivamente le funzioni di Coordinatore e Portavoce.

martedì 6 maggio 2008

Scelti i vicepresidenti di Camera e Senato - Bindi a Montecitorio, Bonino e Chiti a Palazzo Madama


Via libera alle vicepresidenze di Camera e Senato.
A Palazzo Madama per il PD è stata eletta la radicale Emma Bonino e Vannino Chiti, ex ministro per i rapporti con il Parlamento e le Riforme. Per la maggioranza sono stati eletti Rosy De Mauro della Lega Nord e Domenico Nania del Pdl.
Scelti anche i tre questori Benedetto Adragna (Pd), Romano Comincioli (Pdl) e Paolo Franco (Lega) e gli otto segretari d'aula: Emanuela Baio (Pd), Silvana Amati (Pd), Colomba Mongiello (Pd), Marco Stradiotto (Pd), Alessio Butti (Pdl), Piergiorgio Stiffoni (Lega), Cinzia Bonfrisco (Pdl), Lucio Malan (Pdl).
Sull’incarico di Emma Bonino si è espressa con entusiasmo Anna Finocchiaro, capogruppo dei senatori PD. “Emma Bonino – ha dichiarato la Finocchiaro – ha ricoperto incarichi importanti con grande dignità e che credo che farà lo stesso anche qui in Senato”.

A Montecitorio invece le vicepresidenze, per quanto riguarda l’opposizione, andranno a Rosy Bindi per il Pd e a Rocco Buttiglione per l’Udc. La maggioranza al riguardo sta decidendo su Antonio Leone del Pdl e Giacomo Stucchi della Lega. Come segretari d’aula per il PD dovrebbero diventare per il Pd Renzo Lusetti, Gianpiero Bocci, Mimmo Lucà e Emilia Grazia De Biasi.

lunedì 5 maggio 2008

Franceschini: "Guai a chiuderci in noi stessi, dobbiamo continuare ad aprirci"


Il nostro lavoro è transitorio, finirà. Il nostro compito è quello di lasciare il partito a chi verrà dopo di noi, non di restituirlo a chi c’era prima”. Intervento a Roma in occasione del congresso della Acli, Dario Franceschini rilancia il progetto di costruzione e di radicamento del Partito Democratico.
Con le elezioni del 13 e 14 aprile, spiega il vicesegretario del PD, è cominciata una “
nuova fase” per la quale “è inevitabile usare strumenti nuovi e intraprendere nuove strade”. Il che non potrà non voler dire che lo sguardo sarà rivolto al futuro e anche ad un nuovo equilibrio delle classi dirigenti. Il PD, secondo Franceschini, deve essere “un partito aperto, che rispetta la grande diversità di posizioni e di culture politiche presenti al suo interno, facendo di questa caratteristica una vera e propria risorsa".
Di certo il problema non sarà rappresentato dalla miscela di provenienze: “
Ci sono – sottolinea Franceschini – migliaia di dirigenti che non provengono da Ds e Margherita, quindi semmai il problema non è quello di mescolare, ma di continuare ad aprire. Non possiamo – spiega – rinchiuderci a protezione di un pezzo della società italiana, anche se è un pezzo molto grande dato che rappresenta un terzo del Paese”.
Non si può pensare che, insomma, “
che sono gli altri che sbagliano” o non ci capiscono, ma dobbiamo al contrario “capire dove abbiamo sbagliato noi”. Tenendo ben presente che “il PD è comunque l’approdo del nostro percorso: potrà venire bene o venir male – conclude Franceschini – ma dopo non c’è qualcos’altro”.

sabato 3 maggio 2008

Veltroni a Berlusconi: metà Italia non è con te

Roberto Monteforte - L'Unità

È molto determinato il segretario del Pd, Walter Veltroni e rilancia il suo progetto, intervenendo quasi a sorpresa al 23° Congresso delle Acli in corso a Roma. Accoglienza calorosa per il leader del Pd che sceglie il podio delle Acli per rafforzare il filo del dialogo con la società civile e con l’associazionismo cattolico, indicando il terreno comune dei valori, delle libertà, della solidarietà sociale per contrastare chiusure ed egoismi, conflitti e diseguaglianze, resi più drammatici dalla globalizzazione. Si rivolge anche alla politica Veltroni.
A chi ha vinto le elezioni, ma anche a chi è all’opposizione e al popolo del Pd. Al suo gruppo dirigente che si interroga sulle ragioni di una sconfitta. Mette in guardia da letture semplificate: «C'è solo una cosa peggiore degli insuccessi elettorali - afferma - le spiegazioni degli insuccessi elettorali, quasi sempre frettolose, fatte di insopportabili luoghi comuni». Invita a leggere bene ciò che è accaduto, soprattutto a partire dalla sconfitta del Labour in Inghilterra.
«Vogliamo continuare - ha detto - a praticare la strada di una forte innovazione. Dal risultato elettorale, da quello che succede in Europa, io traggo la convinzione assoluta della necessità che l'idea di fondo del Partito democratico, costruire una grande forza del centrosinistra, che si posizioni non come una prosecuzione della storia della sinistra in una delle sue ennesime trasformazioni, rappresenti la possibilità di dare quella risposta innovativa di cui la società italiana ha bisogno».
Lo sottolinea. «Abbiamo una grande forza, come dimostra il voto inglese, una forza consistente e superiore a quella di molti altri partiti europei. Penso che il voto inglese faccia capire meglio perché noi abbiamo sottolineato il valore di un 33,7% raggiunto per la prima volta nella storia di questo Paese da un partito riformista». È da qui che bisogna partire. Ora l’obiettivo è di radicare il Pd nel territorio, per costruire «un partito aperto, che trasforma se stesso con un maggiore radicamento nella società». È una risposta attesa dal popolo delle Acli.
Quindi arriva l’altro punto di discontinuità. «Il Pd deve prendere le sue decisioni non facendo riferimento alle sedi e ai luoghi tradizionali, ma valorizzando di più coloro che hanno scelto di aderire al Partito democratico con le primarie, gli eletti, i sindaci, presidenti di Province, presidente di Regione, coloro che lavorano all'interno delle Istituzioni, coloro che sono dentro le associazioni e dentro i movimenti». Parole che suonano come la decisione di superare la pratica del «caminetto», delle decisioni prese dai maggiorenti del partito.
Veltroni non archivia neanche la sua proposta di congresso anticipato, ipotesi definita «inesistente» dal senatore Franco Marini che intervenendo in mattinata aveva ribadito il pieno appoggio al segretario e alla sua linea: «Nel Pd non ci sono coltelli alla mano, non c’è alcuna divisione e Veltroni ha la fiducia di tutti». «Sul congresso ne discuteremo con i segretari regionali» è la risposta del segretario convinto della necessità «di una grande discussione a partire da quel profilo di innovazione programmatica e politica sul quale il Pd deve andare avanti». Che non è molto diverso dall’idea di tenere un’assemblea di organizzazione lanciata proprio da Marini.
Che la situazione sia tutt’altro che semplice lo ricorda al prossimo premier, Berlusconi. «Chi avesse interpretato il risultato del voto come una specie di onda che tutto deve travolgere ed unificare sbaglierebbe» ha sottolineato Veltroni: «Perché si deve ricordare che al Senato il 47% degli italiani non ha votato per coloro che governeranno. Dimenticarsi di questo significa non valutare che questo Paese è diviso a metà». «Nulla è dato per sempre - sottolinea - né la posizione di chi ha vinto, né la posizione di chi ha perso, la società moderna è anche dal punto di vista politico-elettorale molto mobile».
Veltroni lancia un segnale alle altre forze di opposizione, in particolare all’Udc di Casini che nel suo intervento all’assise, aveva assicurato un’opposizione «pragmatica e repubblicana» al governo Berlusconi, «attenta ai contenuti e pronta a sostenere e incalzare l’esecutivo su provvedimenti utili». «Con queste diverse opposizioni dovremo avere un rapporto corretto e aumentare le occasioni di incontro» è il messaggio di Veltroni che ricorda come le vicepresidenze possano essere assegnate all’Udc e al Pd alla Camera (circolano i nomi di Buttiglione e Bindi) e una all’Idv al Senato.
A Casini che lascia intendere disponibilità al Cavaliere Veltroni ricorda come su principi come l'autonomia della magistratura e la libertà di informazione gli sarà difficile trovare intese.

venerdì 2 maggio 2008

Convocazione Coordinamento

Per lunedì 5 maggio, alle ore 19.30, presso il Circolo del PD di San Marco in Lamis, è convocato il Coordinamento cittadino.
All'ordine del giorno:
1- Analisi e commento dei risultati elettorali nazionali e locali;
2- Stesura agenda delle prossime attività politiche.

Tutti i membri del
Coordinamento e i componenti del Gruppo consiliare sono pregati di non mancare.

Il Segretario di Circolo

Domenica 4 maggio comizio di Antonio Cera


Domenica prossima, in piazza Madonna delle Grazie, alle ore 12,00 Antonio Cera terrà un pubblico comizio per analizzare i risultati riguardanti le elezioni provinciali e per ringraziare i quasi 2000 sammarchesi che gli hanno attestato col loro voto stima e fiducia.
I democratici sammarchesi e la cittadinanza tutta sono invitati a partecipare.

Il dopo voto. Veltroni: "Non si torna indietro"

Abbiamo fatto una scelta coraggiosa e di innovazione per la quale paghiamo anche dei prezzi, ma non torneremo indietro”. Con queste parole il segretario del PD Walter Veltroni ha sintetizzato l'esito dell'ufficio politico tenutosi a Montecitorio. “Il partito – ha aggiunto Veltroni – è nato solo sei mesi fa, ha ereditato una situazione difficile e ha raggiunto in poco tempo una dimensione europea. Ci dobbiamo ora preparare per le prossime scadenze elettorali per dare un'alternativa agli elettori”.

Il leader democratico torna sull'esito delle elezioni amministrative del 27 e 28 aprile e in particolare sulla sconfitta di Francesco Rutelli a Roma. “Un dato grave e pesante – ha riconosciuto – però anche molto più complicato i quel che è apparso nelle prime ore. Abbiamo vinto in altre città, come Udine, Vicenza, Ivrea. E' un risultato importante perchè conferma che il voto del Nord è stato anche diverso da quello che sembrava all'inizio, tutto spostato sul centrodestra”.

Un voto che, comunque, non potrà non comportare una riflessione profonda all'interno del PD. Veltroni non si tira indietro. “C'è bisogno di leggere più in profondità la società italiana, l'ondata di destra, guardare alle mutazioni sociali e radicare in profondità il partito, in pochi mesi era difficile farlo ma ora si deve fare”. Un discorso strutturato, una discussione aperta e approfondita.

Abbiamo deciso di avviare una discussione nel partito, tra i circoli. Discuteremo le modalità con cui fare questa discussione, ci sono varie ipotesi, ci siamo presi una pausa di riflessione e lunedì riunirò i segretari regionali”. La volontà, comunque, è chiara: “Consentire a tutti di dire la propria opinione, non solo agli organismi dirigenti. Un dibattito molto vasto. E' il momento di fondare il PD non solo attraverso il rinnovamento programmatico”. A chi gli chiede se sia possibile l'anticipazione del congresso, Veltroni risponde: “Statutariamente è previsto entro il 2009, può darsi che la scadenza sia quella o un'altra, ne discuteremo ma ci sono varie forme per fare una discussione collettiva oltre al congresso”.

Una cosa è certa: non c'è in atto alcuna resa dei conti all'interno del PD e Veltroni tiene a precisarlo, così come a sottolineare che nessuno nel partito abbia messo in discussione la sua leadership. “Non so se con questo posso rassicurare o rattristare, ma il PD è nato sei mesi fa. Abbiamo fatto un grandissimo lavoro che ha trovato consenso tra la nostra gente. Abbiamo fatto una scelta di coraggio e innovazione. La cosa peggiore, quando si ha coraggio, sarebbe tornare indietro”.
Quanto al ruolo del PD in Parlamento, Veltroni ha tenuto a ribadire la disponibilità della futura opposizione per affrontare le riforme istituzionali di cui necessita il Paese. Cosa che però non sembra ancora essere stata recepita dalla coalizione di destra. “Una legislatura costituente sarebbe dovuta partire con un atteggiamento costituente, ad esempio di fronte all'elezione dei presidenti di Camera e Senato. E invece è mancato persino un minimo di discussione”.
Veltroni ha ricordato che il PD, in caso di vittoria, “aveva affermato che, avrebbe proposto all'opposizione la presidenza di uno dei due rami del Parlamento. Dal centrodestra, invece, non si è voluto fare niente di tutto questo, non si è voluta avviare alcuna discussione sulle candidature di Camera e Senato e non si vuole fare nessun discorso neanche sulla nomina del commissario all'Unione Europea”.
Il leader del PD ha sottolineato infine che “per adesso, non ci sono segni di una politica di dialogo. Il carattere costituente di questa legislatura – ha spiegato – non può dipendere soltanto dalla nostra assoluta disponibilità, che abbiamo sempre assicurato, a convergere intorno a riforme istituzionali che diano al Paese più stabilità, più velocità e più trasparenza. Ci vuole anche la volontà politica di chi ha vinto le elezioni. E questa, finora, non si è registrata”.

da www.partitodemocratico.it

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