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lunedì 17 settembre 2007

Antipolitica, Finocchiaro: rispondiamo con un partito vero

Intervista di Ninni Andriolo, da "l'Unità"

15 settembre 2007

Il Pd costituisce «la risposta più efficace all’antipolitica». Anna Finocchiaro parla delle primarie - «si sta discutendo poco di forma-partito» - ma anche dell’ennesimo dietro-front di Berlusconi sulle riforme. La presidente dei senatori dell’Ulivo avanza anche una proposta sulla legge elettorale: «Perché non tornare al Mattarellum?».

Presidente, 49 candidature per le segreterie regionali Pd, 3 donne in lizza. Le promesse erano diverse, ricorda?
«È la conferma che la politica, così com’è stata concepita finora, non è stata capace di cogliere le potenzialità femminili. Un limite macroscopico che il Partito democratico dovrà superare subito».

Veltroni promette il 50% di dirigenti donne. Intanto l’obiettivo per i vertici delle regioni non è stato centrato. Ogni volta si rimanda la soluzione del problema all’appuntamento politico successivo, non crede?
«Il Partito democratico nasce per rinnovare. O farà questo o semplicemente non sarà. La determinazione a dare rappresentanza politica e istituzionale alle donne è una delle ragioni fondative del Pd. Il nuovo partito dovrà raccogliere la richiesta di rinnovamento che sale dal Paese e questo non si potrà fare senza il contributo determinante dei giovani e delle donne».

Non crede stia rimanendo in ombra il tema della forma partito, della democrazia interna, del modo come dovrà organizzarsi il Pd? Non ritiene che le polemiche sul “partito del leader” nascano anche da questo deficit di dibattito?
«È vero che c’è un ritardo nel dibattito e nell’elaborazione anche di tesi tra loro contrapposte. Una cosa però già la sappiamo. L’ha ripetuta Veltroni a Piazza Farnese e io voglio ribadirla: nessuno di noi vuole il partito del leader. Abbiamo preso alcuni impegni. Abbiamo detto che la vita interna del Pd, e il suo esordio con le primarie, sarebbero stati segnati da forme anche inedite di consultazione democratica. Noi vogliamo fare un partito nuovo. Ma, sia chiaro, vogliamo fare un partito. Vale la pena ripeterlo in un momento in cui i partiti vengono considerati quasi come il cancro della democrazia. Sono convinta che di fronte alla crisi della politica la risposta sia la politica. E sia quella di un partito di massa, nazionale, radicato nel territorio, profondamente democratico, capace di dare casa a culture diverse e di ospitare dentro le sue stanze ragazze e ragazze».

Secondo Ilvo Diamanti il “popolo di Grillo” è composto, in maggioranza, da elettori dell’Unione e del Pd. Giusto liquidarlo con le spallucce dell’antipolitica?
«Dentro quel popolo c’è un po’ di tutto. C’è l’antipolitica. C’è chi emette giudizi, spiegandoci che dal ‘43 a oggi non è cambiato nulla. Ma c’è anche chi chiede con forza un rinnovamento profondo. Ecco, noi, con il Pd, diamo una risposta a tutto questo. E non è una rispostina da niente, visto che abbiamo sciolto partiti, a cominciare dal mio, che contavano su centinaia di migliaia di iscritti e che sono stati protagonisti della nascita della democrazia italiana».

Presidente, la piazza di Grillo non sarà l’unica a riempirsi di qui ad ottobre. Berlusconi promette una grande manifestazione per il 13 e la sinistra dell’Unione ne mette in calendario una per il 20. Il governo reggerà agli urti contrapposti di opposizione e maggioranza?
«Farei una distinzione tra la piazza di Grillo e quella di Berlusconi. Quest’ultimo fa il suo mestiere d’oppositore. Illudendosi, però, di poter dare al governo una spallata che non ci sarà...».

A proposito, ha sentito che il Cavaliere ha detto “no” al dialogo sulle riforme?
«Berlusconi è in chiara difficoltà. Io sono impegnata al Senato che, per via dei numeri risicati che registriamo, è la postazione più favorevole per spallate che, invece, sono fallite puntualmente. Certo, non si possono escludere futuri incidenti, ma la coalizione fino adesso ha tenuto bene, malgrado i passaggi difficili che ha dovuto attraversare».

La riforma elettorale si farà o no in questa legislatura?
«La storia di questa riforma è un continuo ripetersi di stop and go. C’è sul tappeto l’ottimo lavoro svolto dal ministro Chiti, ma se non si dovesse trovare un’intesa su quello mi chiedo se non si debba tornare al vecchio Mattarellum, anche per evitare un referendum che non risolverà nulla...».

Una posizione già assunta dal ministro Parisi...
«Guardi, io faccio una proposta minima. Possiamo esplorare la possibilità di tornare al Mattarellum, sapendo che le riforme costituzionali che si stanno discutendo alla Camera imporranno alla fine una legge elettorale che dovrà tenere conto di quelle novità. Il Mattarellum era accettato sia dal centrodestra che dal centrosinistra. Potrebbe costituire una base da cui ripartire».

Presidente torniamo a parlare delle piazze. Quella chiamata a protestare contro il protocollo sul Welfare è la più insidiosa per il governo?
«Per la verità oggi quella piazza mi appare un po’ sgonfiatina. Ecco, escluderei che dalle varie piazze possano derivare problemi per il governo. Anche se non dimentico questioni politiche da prendere in considerazione con attenzione...»

La Fiom ha bocciato il protocollo del governo sul Welfare. Questo non è un problemino di poco conto...
«È una posizione che ha bisogno di una soluzione politica. E questa c’è già ed è il referendum. Vedremo se lavoratori e pensionati, alla fine, decideranno che la politica più giusta da portare avanti è quella del “tutto e subito altrimenti me ne vado”. Il protocollo sul Welfare registra indubbiamente, e Guglielmo Epifani lo aveva sottolineato tempo fa, un netto miglioramento delle condizioni dei lavoratori, dei pensionati al minimo e dei ragazzi occupati in lavori precari».

Tra le “questioni politiche” sul tappeto c’è la Finanziaria. Non teme nuovi scontri tra sinistra “radicale” e riformisti?
«Non ricordo, in venti anni di Parlamento, l’approvazione di una Finanziaria che non sia avvenuta al termine di una corsa a ostacoli lungo un percorso accidentato. Credo che varare la prossima legge di Bilancio sarà più semplice rispetto all’anno scorso, quando vennero fatte delle scelte necessarie e dolorose. Stiamo costruendo la Finanziaria, come sempre, democraticamente».

E dopo la Finanziaria? Ci sarà o no il rimpasto? Lei si è dichiarata favorevole alla riduzione di sottosegretari e ministri...
«Io ho invitato a una riflessione politica collegata alla nascita di un partito nuovo come il Pd. Questa novità non potrà non riflettersi anche a livello istituzionale e di governo. Ma sono consapevole che questo spunto di riflessione al momento non può essere accolto. Bisogna tenere la Finanziaria, infatti, al riparo da scossoni e da spifferi che possano turbarla. La mia è una valutazione politica. Se tre partiti alla fine ne fanno uno solo qualche conseguenza questo fatto dovrà pure averlo...».

Meno ministri del Pd dentro il governo, quindi?
«Secondo me dovrebbe esserci un segnale anche in questo. Un segnale alla società italiana, innanzitutto: “è così vero che siamo un partito solo che...”. Ecco non credo alla logica di trasferirci così come siamo armi e bagagli dentro il nuovo partito...».

I fatti dicono che la nascita del Pd più che stabilizzare la maggioranza crea nuove tensioni con la sinistra radicale...
«A destabilizzare il quadro politico non è la nascita del Pd in sé, ma il fatto che questa ha anche prodotto una scissione. I compagni della Sinistra democratica, che continuano a partecipare al governo, hanno la necessità di segnare politicamente il senso della scelta compiuta».

La sintesi tra Pd e sinistra “radicale” spetta a Prodi, naturalmente...
«Certo, la necessità di una direzione politica dell’Unione sempre più pressante è nelle cose. Ad essa, naturalmente, corrisponde la necessità di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Il Pd, ne sono certa, potrà contribuire fortemente al successo dell’azione di un governo che sarà in grado di ultimare al meglio il cammino dell’intera legislatura».

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